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La zona d'interesse

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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La recensione su La zona d'interesse

di LAMPUR
6 stelle

scena

La zona d'interesse (2023): scena

 

La zona d’interesse non è solo quella inquadrata in lungo e largo da Glazer.
É soprattutto quella confinante, che racchiude un campo di concentramento tra i più feroci ed “efficienti” dell’ultima guerra mondiale, zona dalla quale emerge solo un sonoro di morte, spari isolati, gemiti, urla e ciminiere che bruciano corpi esalando fumo nero di giorno e sinistre fiammate di notte. Un sonoro da Oscar.
La zona d’interesse, in una scena che trovo emblematica, è il tappeto dove il figlio minore di Hoss, Comandante di Auschwitz, gioca coi suoi soldatini, si alza un attimo, scosta la tenda per vedere, forse percepire, identificare meglio quei  rumori e quei brusii, e se ne allontana immediatamente, ammonendo se stesso e quel suo disdicevole crearsi fastidio.

Come noi quando spesso cambiamo canale a cena, mentre parte un servizio su nuovi bombardamenti a Gaza o in Ucraina.

C’è appena un alto muro grigio a separare le due zone d’interesse della famiglia Hoss, da un lato fiori meravigliosi, dall’altro futuro concime per i medesimi.
Non è un mondo inconsapevole, il capofamiglia nutre ipocrita benevolenza ma vive per la funzionalità del campo che dirige e si intrattiene sessualmente con una deportata, la moglie cura amorevolmente i bambini e le amiche, ma minaccia una domestica di poter farla ridurre in cenere dal marito alla successiva inadempienza.
Vivono uno stato di fatto accettato e ne traggono tutti i confort possibili; gite in barca e picnic sull’erba, passeggiate a cavallo, relax in piscina, ecco magari facciamo crescere una vite velocemente a coprire quel muro che separa dal mondo all’incontrario, ma  pienamente calati a cogliere vita regolare, fluire di chiacchiere, the, pellicce sequestrate ai nuovi arrivi oltre muro, nonostante l’acufene di sottofondo cui non fai più caso..
La mamma della signora “Hoss” un po’ meno: viene a trovare la figlia e quel “sonoro”, quell’acre che il cinema non riesce a trasmettere, ma evocare certamente, le fa abbandonare la villa insalutata ospite, lasciando giusto due righe che non ci saranno rese note, ma che ognuno di noi immagina aver potuto vergare con medesima indignazione.

La zona d’interesse è la serra dove il fratello più grande, ad un certo punto, rinchiude il fratello minore, in una sorta di prova generale, di crescita consapevole, di futuro programmato. Carcerieri e prigionieri, loro i cattivi noi i giustizieri. Eliminiamo la feccia, ne gassiamo il più possibile, purifichiamo il mondo.

Meno convincente la repulsione che prova Hoss quando, mentre è al fiume coi figli, scopre che la corrente trasporta melma di scorie umane provenienti dal campo, riporta di corsa a casa i figli e tutti si lavano furiosamente da quei residui di spoglie incenerite. In fondo abitano ad un passo da ciminiere che vomitano cenere umana h 24, basta un refolo di vento a farne depositare tracce sui candidi panni stesi o nella piscina limpida..

Lasciano smarriti anche le lunghe transizioni a tinta unica che vorrebbero instillare ansia e inquietudine ma sanno di artificioso e sfiducia in un pubblico da stimolare artificialmente, come non bastasse l’evocazione visiva.

E infine i conati di vomito di Rudolf  Hoss - anche loro segnale ambiguo -, alternati a fine film insieme ad inserti sull’attuale Auschwitz, museo a monito perenne, una novella zona d’interesse dove ora si puliscono vetrine coi resti di migliaia di ebrei uccisi, dove si toglie la polvere dai forni crematori, dove si organizzano visite, gite e qualcuno riesce anche a scattare selfie.

Rimorso, emozione, eccitazione? Glazer lascia a noi l’ulteriore risposta.

 

 

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