Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film
Treni frettolosi in arrivo, latrati, spari, urla disperate, ordini impartiti con ferocia. Nel sottofondo il rumore costante del fuoco che arde. “The zone of interest” supera il significato preciso di film. Non più arte visiva che rappresenta per immagini una storia bensì un gruppo di suoni che escono da una scatola di filo spinato e guardie inamidate. Un’accozzaglia di suoni, ora indistinti, ora nitidi, che squarciano l’orecchio lasciando intendere cosa succeda al di là della recinzione in mattoni.
“The zone of interest” è un film da ascoltare, un labirinto di rumori e di voci che rimpiccioliscono le immagini nitide, pulite, perfettamente bilanciate dal regista Jonathan Glazer e dal fotografo Lukasz Zal. Possiamo legarci alle sequenze magnificamente montate da Paul Watts ma non possiamo eludere la potenza narrativa dei rumori che, oltrepassando il muro, racconta una storia visualizzabile solo ed esclusivamente nell’intimità. La colonna sonora di Auschwitz è atroce e nemmeno il giardino baciato dal sole di Frau Höss riesce a liberarci da quell’istintiva necessità di dare un’immagine al suono. Ammirare la disposizione di dalie e gladioli, bucolica rappresentazione dell’ordine tedesco, risulta impossibile quanto percepire i profumi e la delicata freschezza dei petali vellutati. Lo sguardo interiore viene ripetutamente distratto dal ronzio dei forni crematori che impedisce di affondare il naso nella corolla e godere la vista dei brillanti colori del paesaggio. Poco più in là c’è Auschwitz con tutto il suo immaginario di brutalità e con i suoni che ronzano simili al rumore bianco di un apparecchio.
Si ricostruisce l’inferno dai sibili che esso produce e si fatica ad immaginare il paradiso tra le tavole imbandite del giardino e la piscina brulicante di bambini. La casa di Rudolph Höss offre, di rado, un indizio della pazzia che l’ha edificata e che la governa con scrupoloso e maniacale cipiglio. Gli stivali bagnati di sangue contaminano il suolo sacro del Reich con le tracce fisiologiche della dannazione. Le chiacchere crudeli del tinello spalancano le porte della casa alla ferocia della privazione. Il figlio maggiore del comandante in capo gioca con una manciata di denti luccicanti indirizzando l’immaginazione verso strumenti medici di tortura. E poi ci sono gli indizi che la campagna polacca offre senza pudore. Il pennacchio di fumo valica il muro della dannazione oscurando il cielo terso della bella stagione mentre il firmamento notturno è oscurato da un incendio costante. L’acqua del fiume porta l’orrore verso la casa del decoro. La linea tra il bene ed il male è un fiume lordato da scorie a loro volta profanate da una vogata rigenerante. La soluzione finale lambisce il regno di Frau Hoss, il luogo migliore dove far crescere sani e forti i cinque bambini avuti dal marito e partoriti nello spirito del Reich.
Il giardino dell’Eden e la casa fuori dal recinto sono gestiti da Frau Hedwig con lo stesso zelante scrupolo militare con cui il marito amministra "la zona d'interesse", un campo che necessita di costanti innovazioni e di un vivace intelletto per raggiungere i massimi risultati. Come la casa ed il parco annesso, rimessi a lustro con abnegazione per millantare l’ascesa sociale finalmente raggiunta dalla contadinetta diventata moglie di un alto ufficiale delle S.S..
Jonathan Glazer mura le telecamere nelle pareti, nasconde la propria invadente presenza, e, con stacchi chirurgici di montaggio, passa da una stanza all’altra della magione, entra negli interni in penombra ed esce negli esterni irrorati di luce, documentando con inquadrature fisse e campi medi la vita di una famiglia ben più ordinaria di quanto non dica il rango di Obersturmbannführer di Rudolph Höss. Tra pianti e bisticci, complicità e nervosismi, Glazer ritrae l’ambizione di lui, supportata dall’opportunismo di lei, un’irrefrenabile avidità cucita negli orli di una pelliccia e, a stento, compressa in un tubetto di dentifricio.
Se il cigolio prodotto delle ruote sui binari non riconducesse la “memoria” dall’altra parte del muro dimenticheremmo di essere nella casa di un boia. La normalità percepita nel racconto ci influenza e ci fa provare sentimenti che non vorremmo sentire come la simpatia per una bambina insonne o quella per una donna al bivio tra il bene e il male al momento di abbandonare la casa. In un paio di lunghe ed inquietanti sequenze notturne Glazer utilizza la telecamera termica per seguire una ragazzina che nasconde nei campi di lavoro qualche frutto che aiuterà i prigionieri a campare qualche altro giorno. La compassione opera nel buio senza ostentare sé stessa e senza chiedere merito. La bontà d’animo si nasconde per non essere vista, si propaga riparandosi da occhi indiscreti e per catturarne l'immagine una normalissima telecamera non può bastare. Il male prospera alla luce del sole nazista.
Se le immagini de “La zona di interesse” ci destabilizzano quanto la mentalità del carnefice, il suono torna a ridestarci dal torpore. Un’aspirapolvere, i passi frettolosi che si propagano in una stanza vuota e l’olio di gomito sparso su una vetrata fanno trasalire. È un calcio di fucile nelle costole. Ma più delle testimonianze di un delirio collettivo di cui sappiamo più o meno tutto è il conato stridulo che libera lo stomaco contratto di Rudoph Franz Ferdinand Höss e ricondurci alla mostruosità del male.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
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