Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film
In The Zone of Interest, lo sterminio e le torture non si vedono, tuttavia si respirano in ogni fotogramma, evocati dai rumori sinistri che di tanto in tanto si stagliano, sotto la forma di uno score acido, su immagini a schermo interamente nero (come al morte) o rosso porpora (come il sangue).
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C'è un momento, in The Zone of Interest, nel quale il protagonista dice alla moglie Hedwig che dall'alto gli è stato comunicato che a breve verrà trasferito, e che quindi dovranno spostarsi in un'altra città e in un'altra casa. Ciò vorrebbe dire abbandonare la villetta dei loro sogni, nella quale da tempo allevano i loro cinque figli, organizzata nei minimi particolari ad uso e consumo di ciascuno, con lui che ha il vantaggio di avere il luogo di lavoro al di là del muro di cinta, e lei che lì si sente la regina, al punto di essere disposta a farlo partire da solo e rimanere a presidio di quel paradiso per continuare a crescere i pargoli nella pace e nella tranquillità. Sarebbero comuni dinamiche da famiglia borghese, se non fosse che l'azione si svolge nei primi anni '40, che il posto di lavoro che confina con quel paradiso è l'inferno in Terra, ovvero il campo di sterminio di Auschwitz, e che l'uomo del cui trasferimento si sta parlando è nientemeno che Rudolf Höss, che ne fu a lungo il comandante e che passò alla storia per avervi introdotto (con Karl Fritzsch) l'utilizzo del gas Zyklon B allo scopo uccidere più persone e più velocemente.
In The Zone of Interest, lo sterminio e le torture non si vedono, tuttavia si respirano in ogni fotogramma, evocati dai rumori sinistri che di tanto in tanto si stagliano, sotto la forma di uno score acido, su immagini a schermo interamente nero (come al morte) o rosso porpora (come il sangue).
Jonathan Glazer dirige con taglio asettico, scegliendo telecamere fisse per documentare la quotidianità del disumano: quello di Hedwig che manifesta alla propria madre la speranza che le viti finiscano di arrampicarsi per bene sul muro affinché sparisca del tutto la vista su quel casermone; o quello del suo 'Rudi', che dentro quel casermone lavora, discettando cinicamente del funzionamento e della temperatura dei forni crematori (quando non passando all'atto pratico), per poi staccare e tornare al focolare domestico a raccontare ai bambini la favola di Hansel e Gretel.
Disinteressato a fornire l'ennesima messinscena degli eventi cruenti, il regista si nasconde in casa di uno dei principali responsabili del peggior genocidio del ventesimo secolo per osservarne la vita privata: e man mano che la serenità sua e dei suoi cari si fanno stridenti e terrorizzano se rapportate al male che egli stesso sta perpetrando, giorno dopo giorno, ad una etnia intera, si alimenta, inquieta e pietrifica la riflessione su come qualcosa di così tremendo possa esser prodotto da menti, teste e braccia di persone 'normali'.
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