FESTIVAL DI CANNES 76 - CONCORSO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA
L'orrore dell'Olocausto visto dalla parte non più di chi lo ha subito, bensì di chi lo ha vissuto da aggressore.
Hedwig, la moglie del giovane ed ambizioso comandante di Auschwitz Rudolf Hoss, è una donna tenace ed organizzata che ha trovato, nella bella villetta adiacente al campo di concentramento presieduto dal marito, quel paradiso di equilibrio e perfezione che l'hanno resa una donna realizzata, come madre e come moglie, e la sovrana di un territorio che pare un paradiso di armonia ed efficienza come sulla terra ne esistono pochi.
Poi si, certo, dall'altra parte del muro pervengono rumori sgradevoli di grida e spari, e fumate nere che sporcano le aiuole quando proprio le ceneri non vengono utilizzate come fertilizzante per i meravigliosi fiori in bocciolo della signora.
Ma quando il marito, in fase di irresistibile ascesa di carriera, comunica alla moglie che la sua carriera subirà presto un trasferimento per coronare un incremento di responsabilità a suo favore, ecco che per la moglie la prospettiva di cambiare stile e caratteristiche di vita, abbandonando il proprio eden fatato coltivato e creato con un proprio schema mentale e organizzativo, le cose precipitano e gli umori cambiano.
La determinata signora arriverà a far si che al marito autorizzino una trasferta in solitaria, continuando ella stessa a godere dei privilegi della casa padronale da lei completamente adattata a paradiso privato.
Tratto dall'omonimo romanzo di Martin Amis, la nuova tanto attesa fatica cinematografica di un regista poco prolifico, ma quasi sempre determinante e fondamentale come è Jonathan Glazer, devasta e scuote per la capacità di accostare così seraficamente e maliziosamente un paradiso concepito ad uso e consumo della classe dominante, ed un inferno di realtà ovattata di cui si intravedono o solo percepiscono i sinistri risultati di una azione di persecuzione razziale che mai ha avuto precedenti simili nella storia dell'umanità.
Nel film inevitabilmente e placidamente inquietante di Glazer, i due mondi contrastanti e così ravvicinati creano paradossi insostenibili che la regia sapiente riesce a rendere evidenti ma anche conniventi con una pacifica rassegnazione da una parte, e la ferma convinzione di essere protagonisti di una azione dovuta e necessaria, dall'altra.
E nella ovattata "casa bianca" del comando, che assomiglia alla nuda schematicità geometrica della casa al centro dell'esilarante e non troppo meno cinico Mon Oncle di Jacques Tati, spicca la matematica determinazione della sua regina, la tenace e determinata Hedwig, donna dalle idee chiare e dai progetti lungimiranti, chioccia del focolare garante di una perfezione che non ammette punti di contrasto o decisioni che vadano ad ostacolare il suo progetto di vita in un luogo di morte e disintegrazione della specie.
Quasi superfluo riferire che la prestazione di Sandra Huller è magistrale, al punto che la sua prova pareva non poterle che assicurare il premio come miglior attrice, andando solo la eccellente interprete tedesca a rischiare di competere contro se stessa nell'altrettanto superlativa prova di Anatomy of a fall, di Justine Triet.
Così non è stato, ma entrambi i film con la splendida interprete si sono avvalsi dei due premi più importati di tutta la celebre manifestazione festivaliera francese.
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