Regia di Yimou Zhang vedi scheda film
Nel palazzo di un Cancelliere della Cina del 1100 - una vera e propria cittadella - avviene l’omicidio di un commissario Jin. È l’inizio di un’indagine serrata da parte di alcuni dei generali del Cancelliere, e quindi di un contorto meccanismo di complotti e quadrupli giochi che ruoteranno tutti attorno ad alcuni “oggetti” - una lettera, un lingotto, un braccialetto. Come in tutti i buoni thriller, ma anche come in tutti i buoni gialli.
Zhang Yimou firma infatti con energia inaspettata un giallo dai plurimi colpi di scena lanciato a rotta di collo fra stradine, viuzze e case di tutti i livelli sociali, compattando dentro un microcosmo (in semi-unità di luogo) più parti di società medievale cinese. Ovviamente sono chiamati in causa ranghi, onori, povertà, e insieme agli affetti e agli interessi politici sono usati come arma di coercizione e di minaccia. Zhang semplicemente ama guardare i suoi personaggi parlare e camminare e uccidersi, e da queste tre sole azioni crea un meccanismo narrativo fulminante. Scandisce idealmente in atti il suo intrigo, e le cesure di questi atti si collocano in corrispondenza di sequenze in cui i personaggi si postano qui e lì per la cittadella del Cancelliere, privata dalla notte dei suoi colori: sono steady cam ipnotiche accompagnante da un affascinante capricciosissimo rap cinese. È tutto grigio - tranne il rossissimo sangue - e anche le abitazioni di ricchi e poveri sembrano in fondo le stesse: a prescindere dal rango, è una gara alla pari fra ingegni diversi, in grado di usare l’ironia stessa (che sta anche nel film) per manipolare e mentire. Un gioco al letterale massacro, che si conclude con il consueto contentino patriottico ma che non tarda a ricordare quanto sangue inutile si versi quando si tratta di potere e rivoluzione.
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