Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
L’incontro di due solitudini può dare risultati esplosivi.
Solitudine rabbiosa quella di Carla, la quale cova in silenzio il suo rancore nei confronti di una realtà lavorativa deludente e di una vita privata inesistente, mortificandosi nella sua incapacità di rispondere alle angherie subite, di avere il coraggio di essere cattiva nei confronti degli altri; sociale quella di Paul che, in quanto ex detenuto, viene considerato un reietto da temere e sorvegliare, ma che sa quando darle e quando prenderle, ben integrato nelle regole non scritte della vita “criminale” che si è scelto. Il fulcro iniziale del film di Audiard è tutto qui, una matura riflessione senza fronzoli sulle gabbie comportamentali che avvolgono la nostra vita, sia in ambiti lavorativi molto competitivi, dove la “legge della giungla” porta ad una graduale emarginazione del diverso (Carla, in quanto donna “affatto bruttina” e per di più affetta da sordità), sia nei rapporti interpersonali dove gli stessi meccanismi ci impediscono di sfuggire ai consueti binari comportamentali del vivere cd. “civile” (sull’argomento mi ricordo una geniale striscia di fumetti di Matt Groening, con protagonista una coppia di conigli mono orecchiuti intenti a lanciare freccette uno sull’effige dell’altro, chiosando: “pochi rapporti potrebbero reggere una simile franchezza”); una vita biologicamente inquadrata, alla quale è molto difficile e scomodo ribellarsi senza stravolgerla del tutto. Nella seconda parte, dopo la fase di avvicinamento dei due protagonisti sorretta con sobrietà dal regista seguendone da presso la trasformazione emozionale (grazie ad una mdp spesso piazzata in primo piano sui visi di Cassel e della Devos), lo stile della pellicola diventa prontamente riconoscibile a chi ha amato “Un Prophéte” del 2009: rapida evoluzione della storia, precisi riflessi noir vagamente schematici (il “telefonato” tentativo di stupro di Carla fuori dalla discoteca, quasi a castrarne la voglia di libertà sessuale dal suo sodale Paul, il quale prontamente accorre al suo salvataggio) ma sempre originali (l’handicap di Carla che diventa risorsa indispensabile a cambiare le vite di entrambi, la storia “parallela” dell’addetto alla sorveglianza di Paul). Con quel qualcosa in più a livello sceneggiativo che gli consente di affrancarsi dagli stereotipi, come ad esempio la felice scelta di far progredire lentamente il personaggio di Carla, fino a consentirle di affrancarsi dalle sue limitazioni fisiche ed a trasformarle in punti di forza grazie ad una rinnovata consapevolezza. Che le consente, finalmente, di condurre un “gioco” pericoloso ma liberatorio. Fino al catartico e sanguinoso finale, dove Audiard dimostra ancora una volta il suo amore per i “suoi” imperfetti e bistrattati personaggi.
Movimentata.
Ottima.
Perfetto.
Brava e sensuale nella sua inadeguatezza.
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