Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Marzio e Samuele sono due giovani di belle speranze nella Bologna degli anni Settanta; appassionati di musica, fondano un duo chiamato I leggenda, col quale ottengono un minimo successo locale e qualche passaggio televisivo. Marzio, passionale, inquieto e più determinato a proseguire la carriera artistica, sposa Sandra e perde Samuele, che lascia la musica per fare carriera in banca. Anche il matrimonio con Sandra non durerà molto, facendo precipitare definitivamente la carriera di Marzio. Cinquant'anni dopo il trio si ritrova al funerale di Samuele.
Musica, Bologna, gioventù e nostalgia: tutto il cinema di Pupi Avati potrebbe essere riassunto così e questa pellicola non sfugge alle regole. La quattordicesima domenica del tempo ordinario è un film emotivamente fortissimo, ma non sempre riuscito sul piano delle immagini, che preme al massimo sul pedale della commozione dimenticandosi spesso e volentieri di quel freno a mano naturale per la drammaturgia che è la verosimiglianza della storia. La sceneggiatura è scritta dallo stesso regista e si sviluppa su più piani temporali comprendo un lasso di tempo che supera i sessant'anni, se si considerano i primi ricordi del protagonista da bambino per arrivare ai giorni nostri ovvero al 2023 circa. Un copione denso di avvenimenti, sicuramente vivo, colmo di spunti e di riflessioni esistenziali, ma anche zoppicante dal punto di vista della realtà. In particolare colpisce la maniera in cui sono estremizzati i caratteri dei tre personaggi principali, che rischiano in più momenti di diventare semplici macchiette, stereotipati fantocci dall'ampia prevedibilità. Detto ciò, a ogni modo, una tra le tante conferme avatiane a cui qui assistiamo è quella dell'ottima direzione degli interpreti che ha fatto sì che negli anni il regista bolognese portasse sul grande schermo attori non professionisti o artisti di tutt'altra provenienza (qui c'è Lodo Guenzi, cantante dei Lo stato sociale) facendo ottenere loro buonissimi risultati. Nel cast compaiono poi Gabriele Lavia, Massimo Lopez e una ritrovata – e sempre brava – Edwige Fenech, al suo primo ruolo cinematografico addirittura da Hostel II di Eli Roth, 2007; particina anche per Sydne Rome. Arrivando al cuore del discorso del film: le madeleines proustiane ci saranno sempre, ma costerà tanta fatica farsi trovare preparati per accoglierle e poterci riappacificare con il nostro passato più remoto. 4/10.
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