Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Pupi Avati è ancora molto attivo sui set alla veneranda età di 84 anni, questo fa piacere per lui e anche come segnale di perseveranza per i registi più giovani, che spesso si perdono nelle difficoltà produttive del cinema italiano di oggi, ma purtroppo anche questo "La quattordicesima domenica del tempo ordinario", come i precedenti "Dante", "Lei mi parla ancora" e altri, è una pellicola soltanto dignitosa, un film che non riesce ad incidere davvero nella produzione italiana contemporanea. Una storia di amicizia tradita e amore impossibile, dal tono particolarmente amaro e disilluso, con un intrico di flashback fin troppo arzigogolato e diverse falle nella scrittura che si trascinano fino alle ultime scene depotenziando il lavoro di buoni attori. È proprio nel cast, forse, che Avati riscuote anche qui i maggiori successi, a mio parere indovinando la scelta del cantante Lodo Guenzi nella parte di Marzio giovane e ripescando con una certa efficacia una matura Edwige Fenech, tuttavia alquanto sacrificata in termini di screen time; spiace invece che un attore molto più navigato e competente come Gabriele Lavia sia costretto in un ruolo di anziano ormai paranoico tagliato con l'accetta, che non rende giustizia al suo talento. Per il resto un melo' piuttosto ordinario, dal titolo inutilmente altisonante, in cui una delle invenzioni più originali è proprio la canzone che dà il titolo alla pellicola, scritta dal regista insieme a Sergio Cammariere, che ritorna 4/5 volte in scene sempre dal registro sempre più sconsolato, ma che condensa in maniera intelligente quella malinconia e quella disperazione che il film invece non riesce troppo spesso a rendere in maniera credibile. Lo sfondo di Bologna stavolta assume un rilievo quasi spettrale e decisamente meno idealizzato rispetto ad altri film, accompagnato dalla consueta perizia tecnica del regista in un film piuttosto avaro di emozioni autentiche. Voto 6/10
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