In pieni anni '50, un gesto un po' brusco occorso tra bambini presso un chiosco di gelato nel centro di Bologna, segna il primo, a suo modo poetico ed originale incontro/scontro tra i bambini Marzio e Sandra, di nemmeno troppo celate origini francesi lei, come denuncia in modalità sin troppo clamorosa e grottesca il suo accento stretto tipicamente francofono.
Il ragazzino, timido ed impacciato, non dimenticherà mai il volto angelico e perfetto della ragazza, che incontrerà per caso nei primi anni '70, trovando il modo per iniziare a frequentarla regolarmente, fino a sposarla.
Marzio è un giovane che si interessa di musica, ed ha fondato col suo amico del cuore Samuele, una band di musica leggera chiamata I Leggenda, riuscendo ad ottenere un riscontro locale almeno dignitoso, tra feste di paese, manifestazioni canore come Castrocaro e similari.
Poi Samuele intraprende la carriera come funzionario di banca, mentre Marzio rimane legato alla musica, così come Sandra tenta con tutta se stessa di sfondare come indossatrice di sfilate e di boutiques di alto rango.
Ma, come succede spesso, la vita riserva spesso amare sorprese e bruschi imprevisti che mettono in crisi volontà ed aspirazioni, compromettendo anche stati d'animo ed unioni sentimentali apparentemente perfette.
Ai giorni nostri, ritroviamo un Marzio invecchiato e rassegnato (Gabriele Lavia), sempre in bilico tra il fallimento professionale di cantautore rimasto appartato e di nicchia, e l'indigenza economica che lo ostacola in ogni progetto volto a tentare di tornare alla ribalta.
In visita all'ex amico Samuele, ormai facoltoso banchiere di successo (lo interpreta Massimo Lopez), il musicista spiantato ha l'ardire di chiedergli aiuto, ma in cambio ottiene fastidioso sentimento di condiscendenza assieme alla dolorosa confidenza che il figlio del suo amico sta per morire di una malattia terminale.
Colto da un raptus di dolore, il banchiere si suicida e al suo funerale, Marzio avrà finalmente occasione di ritrovare la sua amata Sandra (la rediviva Edwige Fenech, di ritorno al cinema in un ruolo significativo dopo oltre trent'anni di assenza), a distanza di quasi quarant'anni da quando il loro matrimonio naufragò.
L'ultima fatica di un ancora molto attivo Pupi Avati, è incentrata sulla sofferta descrizione del sentimento della nostalgia verso un passato che racchiude ricordi di una lontana felicità ormai irrimediabilmente compromessa dalle molteplici avversità che la vita riserva alle singole esistenze.
Un film imperniato di pessimismo e di ineluttabilità, che si ripercuote sui caratteri dei personaggi che compongono una storia di amicizie tradite, e di amori disfatti da disgrazie, di sfortune, ed avversità come dono mai richiesto di un destino sempre troppo crudele.
Se l'Avati dei ricordi d'infanzia, e di quella Italia cittadina dei borghi del dopoguerra così schietti e ricostruiti come presepi cesellati finemente, riesce ancora, almeno in parte, a convincere, purtroppo molto meno avvincente o compiuto risulta il ritratto dei protagonisti man mano che il tempo li restituisce adulti e poi maturi fino ad arrivare, arrancando, ai dolorosi giorni odierni della rassegnazione.
I dialoghi sopra le righe ed imperniati di eccessivo afflato retorico, in pasto ad attori anche dotati se presi singolarmente in altri contesti, e qui spesso coinvolti in singoli ruoli di puro contorno, paiono spesso esitanti, azzardati, eccessivamente melodrammatici, e come se chi li pronuncia fosse colto da sentimenti di imbarazzo a sentirsi pronunciare certe frasi al limite di una soap opera.
E, lo si riferisce con rammarico, la parte scritta al servizio di uno smarrito e sin grottesco Gabriele Lavia, improbabile musicista alla fine di una triste ed ingrata carriera che si ricicla come può tra tv private e televendite al limite della truffa, risulta quasi sempre imbarazzante, come del tutto incomprensibile appare la possibilità di trasferire sullo spettatore un barlume di sentimento affetto riguardo ad una storia d'amore che non ha nulla, nemmeno quando risalente si tempi della giovinezza dei protagonisti, della gioiosità dei corteggiamenti galanti e un po' ingenui, ma adorabili, che hanno reso magico il cinema dei sentimenti di Pupi Avati.
Non che il personaggio medesimo, impersonato in età giovanile e reso con sin troppa staticità da Lodo Guenzi, paia molto più riuscito della sua bolsa ed usurata versione matura.
Marzio e Sandra stanno male assieme sin dal momento del piccolo maldestro incidente giovanile che li fa incontrare, e, sessant'anni dopo, si trovano ancora peggio nel ritrovarsi, invecchiati e derelitti, al funerale del loro amico ricco, ma non meno sfortunato.
Gli attori coinvolti, paiono tutti bloccati e irrigiditi da una freddezza di fondo che sfugge ogni attrazione o poetica di fondo.
L'unica vera prova degna di nota, in questo contesto decisamente mal congeniato, a questo punto rimane quella di una ritrovata Edwige Fenech, che riesce, almeno lei, a rendere dignitosa la sua figura di donna dolente e soggiogata da un destino che ormai ha imparato ad accettare.
In questo senso Pupi Avati, che ha l'ardire di dilungarsi in scene di gelosia senile davvero fuori luogo, se non proprio imbarazzanti, si conferma almeno un regista in grado di riplasmare magicamente carriere e prove attoriali apparentemente ripiegate su se stesse, come successe anni addietro per personaggi altrimenti condannati dai propri fortunati ma castranti ruoli da mattatori, come accadde per Diego Abatantuono in Regalo di Natale, Massimo Boldi in Festival, Ezio Greggio ne Il papà di Giovanna, e proprio di recente a Renato Pozzetto nel pur bolso e poco riuscito, recente Lei mi parla ancora.
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