Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Nessuno è un grand’uomo per il proprio cameriere: Bellocchio trasferisce l’aforisma sul piano religioso raccontando la storia stralunata di Ernesto Picciafuoco, pittore e illustratore, che un giorno scopre all’improvviso che è stato avviato un processo di beatificazione per sua madre. Per lui, serenamente ateo, sua madre non era una santa: solo una donnetta buona e mite con un sorriso ebete stampato in faccia, quel sorriso che un tempo lo infastidiva e che ora infastidisce gli altri quando lo vedono in lui (bellissimo il sottotitolo Il sorriso di mia madre); certo, è rimasta vittima della follia del figlio Egidio, che da allora vive rinchiuso in manicomio, ma parole come “santità”, “martirio” e “miracolo” non sembrano avere nulla a che fare con questa storia. Eppure i parenti di Ernesto si muovono compatti: le zie, la moglie, i fratelli (il missionario Eugenio, l’ex terrorista Ettore, il funzionario di banca Erminio: perché tutti hanno i nomi che cominciano per E? boh), convinti che avere una santa in famiglia può sempre far comodo. Saggiamente, il regista non calca neanche troppo la mano sugli aspetti più grotteschi della burocrazia vaticana e lascia che i fatti parlino da soli: i mercanti hanno preso possesso del tempio e vi prosperano, ma quali sono le conseguenze che ciò può avere sulla nostra vita quotidiana? Il film fa questo: mostrare che effetto fa l’irruzione di un mondo totalmente alieno nell’esistenza di una persona comune; roba al cui confronto venire sfidati in un duello all’arma bianca sembra una cosa quasi normale.
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