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L'ora di religione

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su L'ora di religione

di Baliverna
8 stelle

E' quasi impossibile parlare di questo film solo quanto alla forma, e non quanto al contenuto.
Quanto alla prima, dunque, dal punto di vista cinematografico ritengo l'opera sicuramente riuscita. Regna una particolare atmosfera nel film, rarefatta e a tratti surreale, non lontana da quella che potrebbe esserci in un sogno o in incubo (si pensi al ricevimento con nobili e prelati, dove tra i primi compare lo stesso Bellocchio). Si respira un'aria di sospensione, di insicurezza, di minaccia. Gli interni vengono esplorati poco, sicché non si capisce bene come siano conformati gli appartamenti; quanto agli esterni, non ci sono panoramiche, ma al massimo qualche inquadratura delle vie di Roma. Si vedono scorci di Roma dal finestrino della macchina, qualche marciapiede e qualche panchina, e nient'altro. E' un'ambientazione indeterminata, forse perché i drammi avvengono non fuori, ma nell'interiorità dei personaggi. In ogni caso il film è condotto con mano sicura e non mi sembra mai debole.
Che dire del resto? Ce n'è tanto di altro. Il film dà espressione a quel demone che si agita dentro al regista dai tempi de "I pugni in tasca". La pellicola esprime cioè l'irriducibile insofferenza di Bellocchio per il cattolicesimo e per la Chiesa, assieme ad un fiero ateismo. Il regista forse vede se stesso nei personaggi di Castellitto e del fratello pazzo, per altro ben definiti. In contraddizione con il loro non credere in Dio, vi è in loro una voglia matta di bestemmiarlo, per sentire poi un gran senso di sollievo e liberazione. Chi non crede, non accetta neanche che esista la santità. Io da credente, non posso essere d'accordo con l'immagine di santità e di fede che il film dà. Esse sarebbero una messa in scena, un atto di ipocrisia collettiva e consapevole, una scelta opportunistica per avere vantaggi materiali. La santa è una finzione, una recita, una costruzione a posteriori in base ad una certa iconografia, tramite il mentire concorde di tutti i testimoni. Molti degli stessi testimoni sono non credenti, e fingono anche su questo. In verità la donna era una persona insignificante, piagnona e soprattutto stupida. Era una bigotta uccisa da un figlio psicopatico, che voleva in tal modo rivendicare il suo diritto a bestemmiare. Meglio il fratello matricida che lei, questo mi pare si evinca dal contesto.
Il personaggio di Castellitto è un'acqua cheta. Sotto la sua pacatezza e la sua tristezza, covano risentimento e disprezzo per la Chiesa e tutta faccenda della canonizzazione e per quanti vi prendono parte. Benché fortemente prevenuto e con le armi puntate già all'apparire del primo prelato, il suo atteggiamento sembra essere motivato dal comportamento di tutti. Gli ecclesiastici sono tutti sinistri e ambigui, melliflui e velenosi, come personaggi di un incubo calmo; i parenti, da parte loro, sono tutti ipocriti e opportunisti. Sebbene non sia d'accordo con la rappresentazione della Chiesa e della santità, devo riconoscere l'abilità di Bellocchio nel rappresentare tutto ciò, secondo quanto ha dentro. Rappresenta non la realtà ma il suo immaginario, il mondo visto in maniera quasi surreale, però lo fa bene.
A margine, il matrimonio del protagonista è quanto di più gelido si possa immaginare. L'incomunicabilità è totale, il disprezzo reciproco tangibile. La moglie è misteriosa e sibillina, e rappresentata in modo odioso anche per lo spettatore.
Se non sbaglio sentii il regista affermare in un'intervista che ha diversi conti in sospeso con la sua propria madre...
Pur mantenendo ferma la distinzione tra la veste cinematografica e il contenuto del film, e il mio dissociarmi dal suo messaggio, la definirei un'opera ben diretta e interpretata, anche se come astratta e non per tutti i gusti. Gli interpreti stanno tutti al gioco del regista, e e ci stanno al fare i prelati il più possibile untuosi e repellenti, e i parenti dei perfetti ipocriti.
Bellocchio ha un talento degno di miglior causa. L'ho sempre pensato.

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