Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Ernesto Picciafuoco (Castellitto) è un affermato attore che vive al centro di Roma. Raggiunto improvvisamente dalla notizia che il Vaticano vuole santificare sua madre, con l'occasione Ernesto rivede i suoi fratelli, tutti impegnati da lungo tempo per una causa che lui, ateo convinto, non condivide. Bellocchio ricorre ai temi classici del suo cinema: la follia (il fratello psicopatico e bestemmiatore, responsabile del matricidio) era l'oggetto di Matti da slegare e La visione del Sabba; la famiglia come cellula primaria del conflitto è il filo conduttore di molte sue opere (I pugni in tasca, In nome del padre, Gli occhi, la bocca e Salto nel vuoto); l'ipocrisia borghese (Il sogno della farfalla); la psicanalisi. La regia, che non si astiene da qualche deragliamento intellettuale che spezza l'uniformità narrativa del film, è sobria, gli attori diretti benissimo (con un guizzo della solita Piera Degli Esposti), Castellitto in stato di grazia. Ma tanta clamorosa acrimonia da parte degli ambienti cattolici nei riguardo del film di Bellocchio non sembra essere giustificata. Le due bestemmie sparate con pietosa disperazione dal fratello del protagonista (ma nel cinema italiano si erano già sentite ne La festa perduta) sono l'unico sussulto iconoclasta di un film che scruta da vicino i motivi dell'ateismo, li problematizza dissacrando assai più l'ipocrisia borghese di quanto non faccia con gli ambienti cattolici. L'intento di introspezione psicologica, intrapreso in un'originale chiave gialla, si stempera in un finale anodino nel quale la vicenda amorosa del protagonista con la presunta insegnante di religione del figlio spazza via l'acredine antireligiosa di Ernesto.
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