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L'ora di religione

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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Carlo Ceruti

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La recensione su L'ora di religione

di Carlo Ceruti
10 stelle

Avendo dato un'occhiata alla trama, quando ho visto il bambino, all'inizio, parlare con una figura invisibile per poi rivelare alla madre preoccupata per questo suo comportamento strano che stava conversando con Dio e che lo stava scacciando perché se, effettivamente, Dio è ovunque noi non saremmo più liberi, ho pensato si trattasse di un flashback del protagonista che poi compare subito dopo. Il protagonista è Sergio Castellitto e, devo confessare, che non sapevo che lo fosse e mi ha fatto un immenso piacere vederlo lì, al centro della scena. E non mi sbagliavo perché Castellitto, col suo modo di fare tranquillo e spigliato ma in cui sembra celare qualcosa di fastidioso e di doloroso, con la sua voce sempre quieta, ma che si presta magnificamente a cambiamenti di tono e di volume, con la sua faccia sicura e dotata di un'immensa espressività, pur recitando abbastanza sottotono, cattura subito l'attenzione dello spettatore che non può non provare simpatia per lui.
Ritornando al bambino di prima, dirò che l'inizio mi ha affascinato per intelligenza. Perché è così che, forse, apparirebbe un cattolico di fronte a chi non lo è (niente più che un tizio che conversa con l'aria) e sorprende persino, l'illuminante spirito critico del fanciullo, che punge e fa a fettine ogni ragionevole aspettativa di chi guarda.
Tornando ora a Castellitto, costui riceve la visita di un prelato che gli annuncia che sua madre potrebbe essere beatificata. Dalla sua espressione assorta e dalla sua voce tremolante, capiamo facilmente che Castellitto è un ateo, un ateo convinto. Castellitto alias il pittore Ernesto Picciafuco (lo chiamerò così d'ora in poi) torna a casa e ritroviamo il bambino dell'inizio. Il bambino non è Ernesto da piccolo, come inizialmente credevo, ma suo figlio. Incontriamo anche la moglie d'Ernesto: una donna freddina dal vago accento straniero. Sembra però esserci un rapporto un po' gelido tra i due coniugi e, difatti, a breve, i nostri sospetti si consolideranno sempre di più e, infine, avremo la conferma che i due si stanno separando. E da qui il regista ci farà conoscere gli altri personaggi, il presente, il passato, l'arte e la famiglia di Picciafuoco lentamente, come un mosaico che si compili da solo gradualmente. 
E' bene notare, che Picciafuoco (Ernesto) è costantemente alle prese con un sorrisetto di superiorità con cui sembra che voglia ripararsi dal mondo e che lo spinge a beffarsi, spesso e volentieri, dei suoi interlocutori e che lo trascina in numerose situazioni imbarazzanti. E' il sorriso di sua madre ed è un'eredità che pare disturbarlo. Ma anche il ricordo di sua madre lo disturba; davanti ad un prelato che lo interroga, Picciafuoco ne dice di cotte e di crude su di lei e la etichetta come stupida ed incapace di capire. Tuttavia sembra pentirsi quasi subito d'averne parlato male.
Ernesto conosce poi l'insegnante di religione del figlio, una bella donna bionda dall'incarnato candido e fresco che aspira a diventare un'artista, e lui ne rimane affascinato. Affascinato perché è bella e le insegnanti di religione non sono belle. Affascinato perché sensibile, artista e la religione è per i fessi secondo lui (non lo dice mai ma si comprende benissimo).
Sempre nella stessa giornata, rivede una sua zia atea e scopre che questa ha da poco messo da parte l'ateismo. Perché? Perché a lei farebbe comodo avere un parente santo, ridarebbe lustro alla loro famiglia. Ecco perché ha trasformato la sua casa in un santuario ed ha allestito un servizio fotografico per rappresentare la madre di Ernesto che muore come, appunto, una santa. Dalla zia, sappiamo che il fratello d'Ernesto sarà a breve interrogato dai prelati per sapere se, effettivamente, sua madre merita la santità. E la zia spinge Ernesto a convincere suo fratello a dire ai prelati certe frasi studiate prima a tavolino. A Ernesto converrebbe dice lei, perché il nostro è un pittore fallito che non ha mai messo piede in tv. E non mettere mai piede in tv nel duemila è davvero imbarazzante. Ma se la madre diverrà santa, Ernesto avrà uno spettacolare ritorno d'immagine.
Ma chi è suo fratello? E perché la sua testimonianza è così importante? Perché suo fratello è l'assassino di sua madre. Questi è richiuso in un manicomio (pardon ospedale) e costretto al mutismo ed è un ex bestemmiatore incallito che la madre cercava di frenare. Picciafuoco va in ospedale e trova già gli altri suoi fratelli che cercano di convincerlo a dire che sua madre è stata da lui uccisa perché tentava di non farlo bestemmiare e che, accoltellata ed agonizzante, l'ha perdonato. Ma sarà vero? Lo spettatore è il primo a dubitarne. Le argomentazioni che vengono rivolte all'assassino, sono delle più convincenti: dì questo ed avrai donne e soldi, dì questo ed avrai popolarità. Ernesto si ribella, s'arrabbia, è disgustato da questi atteggiamenti così orribili. E suo fratello (l'assassino) rimane sempre muto e sembra ignorare le pressanti richieste dei suoi fratelli finché esplode con due bestemmie che fanno sobbalzare chi guarda e gli fanno guadagnare l'abbraccio del protagonista. In realtà, vorremmo abbracciarlo tutti.
Le ore passano ed una coltre si staglia sul cielo romano. E Picciafuoco è sempre più combattuto. Il giorno dopo ha anche l'udienza dal santo padre per la santificazione della madre. E' combattuto se andare o non andare? E' distrutto dal comportamento osceno della sua famiglia? O sta ripensando seriamente ai fatti accaduti ed al suo passato? Sì, credo proprio che stia ripercorrendo la sua vita da cima a fondo.
Che fare? Che fare quando Ernesto scopre che l'insegnate di religione, di cui è rimasto affascinato, di suo figlio non è la vera insegnante di religione? Che fare quando scopre che forse è una donna pagata da sua zia per spingerlo alla conversione? Che fare quando anche sua moglie lo spinge a far santificare sua madre perché una santa in famiglia fa comodo a tutti (suo figlio compreso)? Gli crolla il mondo addosso. Mettere da parte gli ideali, per un uomo idealista come Ernesto, dev'essere davvero terribile. Ma che senso ha avere ancora ideali in questo mondo?
Le sue incertezze si fanno ancora più soffocanti quando incontra un vecchio che si dice miracolato da sua madre. Lui vorrebbe sapere quanto gli hanno dato i suoi fratelli per raccontare questa storiella, ma lui sembra così sincero quando parla del miracolo. Ma dalle domande insistendi di Ernesto, pare che quest'ultimo non voglia che sentirsi dire dal vecchio: 'Sì, sono stato pagato'. Almeno il nostro avrebbe le idee più chiare, ma questo dubbio non vuole proprio risolversi. E' talmente distrutto che accetta persino di fare un duello con un nobile (un impareggiabile Bertorelli) che lo aveva sfidato il giorno prima a causa del suo sorrisetto così impertinente. Ma si risolve con un nulla di fatto. Il nobile, vedendo l'incertezza e la mancanza d'esperienza di Picciafuoco come spadaccino (la spada è l'arma del duello che viene brandita nella fredda alba romana), lo lascia stare, nonostante Picciafuoco insista per battersi. Forse la morte sarebbe migliore di tutto questo.
Picciafuoco è talmente confuso da confondere anche chi guarda, che non sa proprio più che pesci pigliare. Il finale, come sempre nei film di Bellocchio, fa effetto a mente fredda. Si rivela in tutta la sua dirompenza solo dopo un lungo ragionamento.
I primi 60/70 minuti sono eccellenti. Bellocchio, di nuovo, fa una critica azzeccata, irriverente e lucida alle istituzioni religiose, all'individualismo ed all'egoismo che si fanno scudo dei valori tradizionali (quelli triti e ritriti che piacciono tanto agli ipocriti) per raggiungere i loro fini, alla famiglia, alla religione ed all'ipocrisia di chi la processa e lo si apprezza infinitamente, perché pochi in Italia hanno il coraggio di fare un cinema così irriverente. E chi sa fare questo cinema meglio di Bellocchio? Quando il fratello del protagonista esplode con due fragorose bestemmie, il regista sembra beffarsi dello spettatore, che sicuramente ha balzato sulla poltrona nell'udirle. E' forse questo, ma lo dobbiamo alla nostra mentalità gretta e moralista, il punto di massimo del film. E' di questa mentalità che il regista si beffa, riuscendo a pungere e colpire chi guarda con sole quattro parole. Ho avuto anche l'impressione che Bellocchio volesse indicarci che il fratello, seppure sia un pazzo matricida, sia l'unico (oltre il protagonista s'intende) a non essere costretto alla maschera dell'avidità e dell'ipocrisia. Come a sottolineare che oggi, sfuggire all'ipocrisia ed all'individualismo, significa davvero passare per pazzi.
E non sottovalutiamo l'atmosfera, che sembra spesso così opprimente, così misteriosa e, allo stesso tempo, così intrigante, così affascinante. E lo è grazie alla lentezza che pervade la pellicola ed alla psicologia del protagonista che, oltre ad essere ben costruita, viene rivelata lentamente ed egregiamente tantoché, ad ogni cosa in più che scopriamo di lui, si ha la sensazione d'aver assistito ad un colpo di scena sensazionale. E' un film che aderisce completamente alla figura del protagonista: i numerosi ralenti e gli stacchi che paiono insensati, non servono ad altro che a darci l'impressione di dubbio e d'incertezza. Vediamo il film coi suoi occhi, lo seguamo con la sua mente e lo valutiamo con le sue idee e proviamo, persino, la stessa confusione. Ma l'ultima mezz'ora, in cui tutto, appunto, sembra confondersi e sfocarsi mi ha lasciato dubbioso, dubbioso al punto d'appannarmi le idee. Ma poi ho pensato che fosse proprio questo lo scopo del regista: gettarmi nella stessa confusione che affligge il protagonista. Ed il finale, nella sua apparente stringatezza, nella sua serratezza, nella sua brevità, è sorprendentemente armonioso ed illuminante.
Tabellino dei punteggi di Film Tv ritmo:2 impegno:4 tensione:2 erotismo:1

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