Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Che colpo di reni, Bellocchio! Quando oramai il cinema del regista piacentino sembrava aver consumato i suoi giorni migliori, e molta critica parlava dei suoi lavori più recenti con la deferenza vagamente pregiudiziale di un modo di fare film per pochi, troppo cerebrali o impregnati di intellettualismo obsoleto, ecco una sferzata impressionante, un trattato morale densissimo, che resta nel tempo e costringe lo spettatore ad una serissima riflessione sul senso (anche) della propria epoca e del suo essere dentro o fuori dalle cose. Il protagonista è un Sergio Castellitto di straordinaria bravura nell'impersonare un imperfetto di impagabile coerenza, la sua lotta con se stesso e con una realtà di convenienze, l'ingerenza di nuovi e antichi dogmatismi, vaticani e non solo, nella vita reale cui basterebbero pochi gesti di convinta semplicità per ridefinirla libera, l'accondiscendenza generale che tutto opprime e tutto regola: e un personaggio grottesco benchè non stupido come il conte Bulla (Toni Bertorelli, al solito ottimo) che probabilmente rappresenta una minaccia, ma pure ciò che obbliga a scrollarsi da una devastante ripulsa per combattere l'indolenza mentale e morale che grava su una società troppo disposta ad accettare ciò che viene dall'alto. Le due bestemmie gridate piangendo dal fratello folle ed assassino, che fecero discutere
velenosamente sono funzionali alla potenza dell'immediatamente successiva immagine dell'abbraccio, disperato perdono mai cercato prima: un film che non può lasciare indifferenti.
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