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L'ora di religione

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su L'ora di religione

di Antisistema
9 stelle

Dio, Patria e Famiglia, i tre Totem colonne portanti dell'Italia e della mentalità italiana, tanto avversati da Marco Bellocchio sin dal folgorante esordio I Pugni in Tasca (1965), - con cui cercò di scuotere la stagnante mentalità provinciale italiana -, ha sempre contestato in ogni modo le istituzioni, da lui viste come gabbie di nevrosi umane, da abbattere ad ogni costo. 

Nel pieno del torpore socio-culturale dell'Italia di inizio anni 2000, Bellocchio tramite L'Ora di Religione (2002), scuote le acque stagnanti di un paese antropologicamente atrofizzato, che veniva fuori dal decennio degli anni 90', il più buio e squallido di tutta la storia della cinematografia nazionale, dietro solo al ventennio fascista per ovvi motivi.

Cosa vuol dire essere coerenti nelle proprie convinzioni, quando tutti voglio importi delle scelte? E se tali imposizioni provengono del tuo stesso nucleo familiare, che se ne infischia delle tue convinzioni, come bisogna porsi innanzi a ciò? Marco Bellocchio a quasi 40 anni dal suo esordio, rimette al centro l'ennesimo ritratto/autoritratto di una famiglia italiana; i Picciafuoco, un nome importante un tempo, ma oramai decaduto, seppur in procinto di recuperare l'onore perduto, attraverso la canonizzazione della madre defunta dei cinque fratelli, una donna religiosa, morta per la furia omicida di Egidio (Donato Placido), uno dei suoi figli, affetto da malattia mentale, nonchè bestemmiatore incallito, attualmente rinchiuso in una struttura ospedaliera dopo l'accaduto. 

Ernesto Picciafuoco (Sergio Castellitto), pittore ed illustratore di libri per bambini, apprende la procedura di canonizzazione della defunta madre dopo tre anni dall'inizio della procedura, solo dietro invito a comparire del cardinale, il quale vorrebbe interrogarlo per approfondire le circostanze del "martirio". L'uomo è convintamente ateo, per questo motivo è stato sempre tenuto all'oscuro del fatto, anche perchè ha sempre considerato la madre un essere "mediocre", "stupido" e "debole", che ha rovinato la vita dei propri figli a causa della sua ottusità religiosa, non condividendone il processo di canonizzazione, nè la "fabbricazione mitologica" attorno alla sua figura.
Il regista Bellocchio si rivede nella maschera di Ernesto, girando al contempo una delle sue opere più libere e creative dal punto di vista stilistico-formale, addentrandosi in una Roma mai così ostile nel suo fascino onirico, così lontano dalla magia felliniana o dalle visioni neo-realiste; a favore di uno sguardo bunuelliano, nell'unire sacro e profano, addentrandosi negli immensi palazzoni antichi, dove lo sviluppo verticale di essi, racchiude stanze, che conducono ad ulteriori luoghi, in cui è presente un potere "totale" atto a rinnovare sè stesso, impedendo ogni silenzio. 

 

Sergio Castellitto, Maurizio Donadoni

L'ora di religione (2002): Sergio Castellitto, Maurizio Donadoni

 

Dio è ovunque, il suo essere dappertutto, impedisce ogni privacy, neanche il contraltare laico della patria, propugnato da un circolo di nobili patrioti anti-clericali, secondo il regista varrebbe come soluzione, dato che da convinto comunista, vede nei simulacri italiani, - la chiesa per la religione ed il Vittoriano per la patria -, gigantesche affermazioni totalizzanti dei sistemi ideologici, atti a penetrare nelle coscienze degli uomini, per guidarli come burattini, al servizio di sovrastrutture mentali, in cui risultano imprigionati. 
Bellocchio non rinuncia alla componente intellettualistica del suo cinema (su tutti l’insegnante di religione), ma non perde di vista mai il suo sguardo sui personaggi, perfette incarnazioni dell'Italia all'alba nuovo millennio, incapaci di lasciarsi alle spalle i vecchi "poteri", tradendo le proprie convinzioni passate, pur di entrare a far parte delle solite cerchie esclusive di potere, alla ricerca di un posto in un sistema, che anni addietro si aveva contestato.
I rivoluzionari sono diventati dei conformisti, ma in questo non c'è alcun giudizio morale da parte del regista, il quale non vuole dare patenti di verità o autenticità a nessuno, cercando di far capire i punti di vista di ogni personaggio, senza mai essere cerchiobottista, poichè lo sguardo di Bellocchio ha una chiara approvazione verso Ernesto, capace di essere coerente nelle proprie convinzioni, senza piegarsi ad un'ipocrita conversione di comodo, per compiacere le autorità ecclesiastiche, come i propri fratelli, il conte Bulla o la zia Maria (Piera Degli Espositi), quest'ultima perfetto volto di un'Italia, che và dove porta il vento; poco importa del pessimo rapporto in vita con la sorella, l'essersi assicurata l'eternità vale tutto, compresa la "costruzione" a tavolino della vita di una "falsa" santa, la cui gigantografia con quel sorriso artefatto in bella mostra - citato a lungo nell'arco del film, come se fosse l'ultimo lascito di una donna atta a voler imporre il proprio marchio di fabbrica sul volto dei propri figli discendenti -, ha occultato la realtà dei fatti. 

La fotografia squallida di un paese gretto, conveniente ed ipocrita, incapace di guardare dentro sè stesso, ma pronto a scandalizzarsi per una bestemmia, la più bella del cinema italiano (cit. Eddie Bertozzi - FilmTv rivista), incapace di vedervi il ritratto di un uomo dilaniato, la cui disperazione non si può censurare, perchè la bestemmia nel film non è un mero atto provocatorio di un regista che vuole fare il "guappo ribelle", ma risulta un grido di aiuto, una ricerca struggente del dogma "Dio", una persona distrutta dal peso del suo atto così difficile da capire, chiudendosi in un abbraccio amorevole, di comprensione e perdono del fratello Ernesto, un ateo capace di fare l'atto più cristiano di tutto il film
Vergognosamente ignorato dal mediocre Festival di Cannes, così come dai nostri premi nazionali, che diedero il contentino solo a Piera Degli Espositi come non protagonista, ignorando l’opera in tutte le altre categorie, tra cui ad un gigantesco Sergio Castellitto, abilissimo nell’esprimere la radicale coerenza del suo personaggio con una prova minimale; in retrospettiva la pellicola si segnala come un capolavoro antropologico, capace di guardare nei rapporti tra potere e religione, con occhio analitico intriso di un forte pessimismo, su un paese immerso in un’apparente modernità, ma fortemente ancorato a contro-poteri millenari nel suo vivere quotidiano.

 

Sergio Castellitto

L'ora di religione (2002): Sergio Castellitto

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