Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Cosa c'è dietro il simbolo, una volta spogliato di tutto? Todd Philips, stavolta compie l'operazione inversa, passando dall'aderenza regista al corpo di Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) rapportato ad un contesto urbano degradante, ad uno scavo intimista nel suo subconscio.
Nulla di nuovo da questo punto di vista. Complice una tecnica classica, che aderisce a stilemi già visti tra "in" ed "out".
Ma il discorso affrontato in nuce in "Joker" (2019), ed espanso nel suo seguito "Joker: Folie à Deux" (2024), sull'uomo e la maschera, qui viene sin da subito posto ad elemento tematico del film. Il corto animato d'apertura, girato da un ispirato Sylvain Chomet, funge da intento programmatico.
Un uomo e la sua ombra. Impossibilitato a distaccarsene, diventa un fardello, che fagocita la propria identità, sino a prenderne il posto.
Il popolo adora "Joker", non Arthur Fleck. La maschera pirandelliana cristallizza l'uomo in un ruolo scelto dagli altri, plasmando la sua figura, tanti quanti sono gli innumerevoli punti di vista dati dai numerosi schermi, che ne proiettano l'immagine ossessivamente.
Il simbolo della protesta e dell'insoddisfazione generale contro la società. Colui che ha avuto il coraggio di uscire dagli schemi. Eppure il significante sociale "Joker", diventa, una maschera a cui ognuno sembra dare ciò che vuole vedervi. Arthur Fleck dapprima adotta un atteggiamento distaccato nei confronti dell'alter-ego, per poi decidere di assumere un atteggiamento passivizzante-attivo; ovvero accettare il personaggio con cui tutti lo identificano - popolo e pubblico in sala -, sperando di goderne di riflesso i frutti.
Eroe rivoluzionario per la massa perchè vittima della società, assassino da mandare alla forca il più presto, perchè ha esternalizzato dei problemi, che sono resposabilità personale secondo il potere costituito. Sinistra contro destra. Populismo contro liberali.
Nella lotta per riempire di significato "Joker", nessuno vuole vedere il simulacro Arthur Fleck con i suoi problemi mentali. Questo perchè, implicherebbe un sistema capace di vedere i propri errori ed invece confina l'uomo in uno squallido carcere, negando nuovamente le cure di cui avrebbe necessità. L'anormale focaultiano, viene respinto e rinchiuso dalla società liberal-capitalista, in quanto la sua stessa presenta rappresenta una sovversione all'ordine esistente.
Phillips sottrae Arthur Fleck dagli spazi urbani, confinandolo in un'atmosfera claustrofobica di spazi ristretti e prigioni fisiche quanto mentali. Il potere della musica, diventa chiave d'accesso al subconscio, di cui "Joker" ne è l'"Es".
"There's always a Joker" canta Fleck in tribunale. Inniettando la follia nel luogo supremo della legge dell'ordine. C'è un "Joker"in ogni essere umano, se non nell'aristotelico atto, quantomeno in potenza, pronto a far emergere la "bestia umana" portatrice di caos.
Philips cerca di raffrontarsi con l'eredità del musical classico, attraverso costanti cambi di illuminazione ed un perenne occhio di bue, capace di proiettare l'intimo altrove di una danza a due tra Fleck e la sua fiamma Harleen Quinzel/Harley Queen (Lady Gaga).
Quell'amore in funzione del quale si muove il primo mobile secondo Aristotele, in quanto cerca di replicare la perfezione dell'atto puro.
E' una tensione verso l'irraggiungibile, perchè non potrà mai raggiungere l'armonia della causa prima. Già sconfitto da una realtà in contrasto dalla propria visione alienante, Arthur ci riprova con Harleen, ottenendo il medesimo risultato.
L'esemplare femminile in aderenza ai principi del sistema "Redpill", viene attratto sentimentalmente da un maschio solo se rispecchia i parametri di "Look", "Money" e "Status" richiesti dal mercato delle relazioni. Arthur Fleck è insignificante ed anonimo in tutti e tre le classi. "Joker"invece poessiede uno "Status" immenso, che lo rende un simbolo di carne e sangue, con tanto di mitologia "laica" annessa - scalinata che unisce due strade differenti, l'ascensore... - dove compiere pellegrinaggi. Ma su tutti, vince il trucco della maschera, che trasforma Arthur/Joker in un maschio "Alpha", capace di uscire dal proprio status di "incel".
Harleen è un non personaggio dalla scrittura friabile. Un simbolismo vivente. Proiezione fisica della percezione del pubblico, che nel 2019 vide "Joker" al cinema - facendogli guadagnare oltre un miliardo -, e recepì in modo superficiale, una parabola disperata su un reietto sociale scaricato da tutte le istituzioni.
Phillips ripesca personaggi vecchi, per testimoniare cose già dette. Non è un caso, che il regista scelga di appoggiarsi totalmente - troppo -, sul fisico deperito e sul volto umanista di un Joaquin Phoenix, immortalato costantemente con dei classici primi piani.
L'attore aderisce alla malattia ed al disagio vissuto, con una perfomance senza vezzi tecnici o caricature espressive. Un modo totalmente anti-hollywoodiano di portare la follia al cinema, mostrando una totale simbiosi tra sguardo, corpo, voce e maschere consapevoli di essere tali e non.
La sua trasformazione in "Joker", avrebbe richiesto talvolta un uso di una regia più inventiva. A cominciare da canzoni dai toni e messa in scena "post-punk", al posto del pop alla lunga stantio - sono troppe le canzoni quanto ripetitivi gli schemi -, dato dalla voce plasticosa e poco interessante, di una Lady Gaga depotenziata come Harley Queen, sfruttata come montatura utile, per cercare la trasgressione del momento.
Cosa rimane dopo la distruzione delle icone? Maschere nude, non in grando di sopportare il proprio "Io". Arthur Fleck, mostra ciò che è, nel suo personale "cabaret". Vittima degli eventi su cui non ha controllo, viene trascinato via dalle restrizioni anguste in cui si trova, una sola volta tramite la tecnica del piano sequenza. Fleck si libera "dall'ombra della bestia", scoprendosi un pagliaccio senza trucco scenico, quindi nessuno.
Abbandonato dai suoi sostenitori, come dagli spettatori stessi, "Joker: Folie à Deux", gioca scopertamente con un'operazione meta-cinematografica, demolitoria nei confronti di ciò che ha creato. Distruzione che tocca l'apice, in un finale concettualmente interessante, all'insegna della liberazione del "mostro" da ogni barriera materiale, perché "l'essenza" vive e sopravvive.
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