Regia di Michael Sarnoski vedi scheda film
"They can't what?!"
Prestandosi all’essere assoldato (e assorbito: in dollaroni, poco più di 65 milioni di budget e poco meno di 260 milioni d’incasso) dal mainstream blockbusterico, Michael Sarnoski, dopo l’ottimo “Pig”, e con una coerenza degna di migliori occasioni, porta in scena – scrivendone tutta da sé la sceneggiatura basandosi per forza di cose sulla caratterizzazione ambientale operata da Scott Beck & Bryan Woods e partendo da un soggetto condiviso col demiurgo del franchise, John Krasinski – questo “Cat” (o “Pizza”: io potendo sceglierei la cassœula del Seprio riscaldata s’un fornellino da campo, ma va bene anche la pizza fredda, rafferma e stantia di Harlem, per carità), ovvero “A Quiet Place: Day One”, fotografato da Pat Scola, montato da Gregory Plotkin & Andrew Mondshein, musicato da Alexis Grapsas e nel quale prorompe e svetta una come sempre molto brava Lupita Nyong’o (“12 Years a Slave”, “Black Panther”, “Us”, “Black Panther: Wakanda Forever”, “the Wild Robot”) che nel primo terzo di film si coadiuva con Alex Wolff (già in “Pig” al fianco di Nicolas Cage, mentre precedentemente in “Hereditary” e in séguito in “Old”, “A Good Person” e “Oppenheimer”, in attesa di poter assistere alla sua prestazione impersonante Leonard Cohen in “So Long, Marianne”) e negli ultimi due terzi con Joseph Quinn (l’indimenticato Eddie Munson di “Stranger Things 4” e recentemente sul set del “Warfare” di Garland & Mendoza), il cui personaggio potrebbe ricomparire (pur non essendo presente sull’isola della Part II) in una eventuale Part III, con inoltre Djimon Hounsou, proveniente proprio dal film extradiegeticamente precedente e intradiegeticamente al contempo parallelo & successivo, che agisce nel prologo e nell’epilogo.
- Quand’è che sei stata l'ultima volta in città?
- L'ultima volta doveva essere l'ultima.
- Beh, eccotene un'altra.
Giusto il tempo di dare una sfogliata e un’annusata al “Dawn” di Octavia E. Butler (anche se non penso che la saga di “A Quiet Place” – a latere: senz’altro ad oggi più coerente rispetto a quella di Cloverfield, dipanantesi tra Lane/Vicoli e Paradoxxi – possa andare a parare nella xenogenesi al centro della serie butleriana) e di regalare all’aere la “Feeling Good” (Newley/Bricusse) di Nina Simone (scena che, per potenza, è seconda solo a quella di "Legion" con Aubrey Plaza coreografata da Hiro Murai).
Ogni regista dirige sempre lo stesso film e bla bla bla, dice. E Michael Sarnoski, con un campione non-statistico di due soli lungometraggi, “conferma” questa frase fatta. Detto ciò, per quanto ci riguarda (e per “ci” intendo “mi”: plurale maiestatis de ‘sta Gran Ceppa), sarei ben se non felice almeno contento di assistere pure ad un terzo lavoro con quest’atmosfera (e non mi riferisco certo all’allure "11/9", quanto all’esistenzialismo pervasivo e costitutivo) di (s)fondo.
* * * ½/¾ - 7.25
Postilla: come insegnare a nuotare ai demogorgoni dell'avanguardia aliena mandata in avanscoperta a bonificare la Terra per una colonizzazione futura? Semplice! (Ma per fortuna non funge.)
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