Regia di Barnaby Clay vedi scheda film
Raccolto ginoide.
Il polline lo porta il vento (o qualche ape operaia dello sprofondo col redneck abbronzato dal sole della nullafacenza).
Barnaby Clay, regista britannico classe 1973, qui anche sceneggiatore (fotografia nicolasroeg-peter weir-douglastrumbulliana di Robert Leitzell, montaggio di Stewart Reeves e scenografie di David Bridson), con questo esordio sulla lunga distanza nel cinema di finzione…
– abitato dal sistema binario composto dalla musa del mumblecore Kate Lyn Sheil (AutoErotic, Gabi on the Roof in July, the Zone, Silver Bullets, Green, the Color Wheel, Sun Don’t Shine, Listen Up Philip, House of Cards, Queen of Earth, Kate Plays Christine, the Girlfriend Experience, Buster's Mal Heart, Golden Exits, She Dies Tomorrow, Kendra and Beth, Swarm), sempre molto brava, e da Scott Haze (“What Josiah Saw”, “Old Henry”), amico intimo e sodale collaboratore di James Franco nelle sue scorribande letterarie tra Faulkner, Steinbeck, McCarthy ed Erickson –
…dopo aver diretto (oltre ad aver rielaborato per un’installazione multimediale il “David Bowie’s Life of Mars” di Mick Rock) molti videoclip (per Rihanna, the Jon Spencer Blues Explosion, TV on the Radio, Gnarls Barkley, Yeah Yeah Yeahs, Dave Gahan e “Pretty Prizes” dalla «“Milano”…
… da Bere» di Daniele Luppi & Parquet Courts feat. Karen O - degli stessi YYY, e moglie del regista - & Soko) e documentari musicali (“Greeting for BearTown” coi Menlo Park e “SHOT! - the Psycho-Spiritual Mantra of Rock” sullo stesso Mick Rock) e cortometraggi quali “Finkle's Odyssey”, arriva ad un bivio di carriera: dopo un film del genere (che parte a velocità di crociera, s’incarta un po’ e poi si riprende bene) potrebbe sprofondare nell’inconsistenza di un metteur en scene buono per tutte le stagioni oppure intraprendere la difficile, impervia e perigliosa strada già tracciata da (iper-esagerando) Michel Gondry, Jonathan Glazer, Spike Jonze e Chris Cunningham: ma esiste anche la terza via, quella di mezzo: si saprà col tempo...
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Calendario mestruale (↑) e, se pur cronosismatico, lunare (↓).
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L’ur-spoiler primordiale, archetipico, mitopoietico è veicolato già dalla locandina...
…mentre le radichette suggono le prime goccioline d’umor acqueo dal terreno fertile di quel microcosmo (quasi) autosufficiente di una dolina carsica in un plateau (altopiano) dell’Utah che sembra l’outback australiano scorre la “Mother’s Song” scritta, eseguita (con Imaad Wasif) e prodotta/arrangiata (con l’autore delle musiche Tristan Bechet) dalla stessa Karen (Lee) O(rzolek).
Comunque due eclissi totali di Sole in 9 mesi mi paion un filo troppe...
* * * (¼) - 6.25
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