Regia di Ginevra Elkann vedi scheda film
Ginevra Elkann ha in sè la forza e la delicatezza di saper entrare nell'intimo dell'uomo con una potenza rara. "Te l'avevo detto" è un film che tiene l'attenzione sullo schermo dall'inizio alla fine, scorrevole, piacevole, facendo immergere lentamente lo spettatore in una spirale sempre più soffocante. La narrazione nel fulcro d'Italia, Roma, in un gennaio insolitamente caldo e afoso, intorno a personaggi tutti legati a un vizio, a un peccato, ad una dipendenza. Dalla nevrotica Gianna (Valeria Bruni Tedeschi), incontrollabile e probabilmente schizofrenica che crede di parlare direttamente con Dio, alla figlia Mimi, complessata e oppressa dalla madre che a tratti la insulta schernendola per il suo eccesso di peso e che porta Mimi a delle incontrollate abbuffate di cibo. Pupa (Valeria Golino), ex pornostar che vive delle reminescenze del passato, ossessionata dalla decadenza fisica e dai ritocchi estetici. Pupa, fulcro di questo film, è per Gianna la causa di tutti i mali, personali e climatici, interpretando l'enorme andata di caldo come segno divino, come piaga e annuncio della fine del mondo, proprio in coincidenza con il concerto della pornostar. Caterina (Alba Rohrwacher) è una mamma alcolizzata che è stata allontanata dal figlio. Malinconica, triste, ma ancora legata all'amore profondo per il piccolo e per l'ex marito (Riccardo Scamarcio). Padre Bill (Danny Huston), ex tossicodipendente, e Francis (Greta Scacchi) sua sorella, che si incontrano dopo anni per spargere le ceneri della madre, come da sua volontà. Tutti personaggi che in qualche modo sono legati, personaggi che si rendono conto delle loro fragilità, dei loro problemi, ma sembrano autoassolversi. All'occhio dello spettatore sono innocenti, colpevoli solo dei drammi che hanno vissuto. Tutti sembrano cercare l'assoluzione, la via di uscita, la salvezza dal loro "inferno", qui raprresentato dal caldo sempre più insopportabile, da un sole che svanisce dietro un pulviscolo che chiude la vista e ottunde i sensi. Tutti cercando "un posto fresco", verso i laghi, verso l'acqua, simbolo di purezza, di rinascita. Film girato magistralmente, intenso. Opera che attraversa diverse fasi, all'inizio con colori nitidi e vividi e l'ironia dei personaggi per poi chiudersi lentamente al solo colore arancio, lasciando intravedere appena sfumati i contorni, arrivando al solo sonoro nel finale. Si resta impietriti, avvolti da questa nebbia che trasporta da un sentimento all'altro, fino quasi all'angoscia del dramma. I personaggi sono perfetti. Nonostante non si conosca il loro passato, si intuisce chiaramente nella narrazione il punto di rottura, emergono chiaramente pregi, difetti, caratteri. Attori di alto livello che hanno dato a vita in modo perfetto ad un "vizio", a un peccato. Valeria Golino è stupendamente grottesca, la Bruni Tedeschi sempre ottima interprete, qui arriva a toccare la perfidia in modo eccelso, la Rohrwacher stupendamente monotono. Ospite in sala alla fine della proiezione la regista Elkann, gradevole, generosa nel rispondere alle domande del pubblico e nel raccontare la genesi della sua opera. Idea che nasce durante il suo primo film, "Magari" e che prende forma durante gli anni del covid. Fulcro della sua opera è la dipendenza. Quelli che, normalmente, rappresentano i sani piaceri della vita, qui sono vizi e peccati che inchiodano ad una vita senza via d'uscita. L'unica salvezza è rappresentata dalla propria volontà, dai propri intenti. Ciò che può sembrare salvifico a volte è una trappola e la regia perfetta, la fotografia di Vladan Radovic e la sceneggiatura impeccabile rendono questo film ottimo. Da vedere e rivedere in tutte le sue sfumature.
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