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Omen - L'origine del presagio

Regia di Arkasha Stevenson vedi scheda film

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La recensione su Omen - L'origine del presagio

di giurista81
6 stelle

A quasi cinquanta anni da Omen – Il Presagio, la 20th Century Studios torna alle origini del male. Lo fa dopo aver prodotto due sequel ufficiali, un prodotto televisivo, un remake e una serie televisiva. Grandi aspettative, in buona parte non deluse. Arkasha Stevenson, dopo alcuni cortometraggi e un paio di episodi televisivi, debutta alla regia cinematografica in modo molto convincente e fornisce una prova che lascia ben sperare per il suo futuro. The First Omen cerca di seguire la scia del primo capitolo, per registro e per costruzione narrativa, aggiungendo un pizzico di thrilling rappresentato da un'indagine su una serie di parti di bimbi deformi frutto degli strani accoppiamenti avvenuti all'interno di un orfanotrofio (sviluppo che ricorda moltissimo il racconto di Paolo Di Orazio intitolato L'Incubatrice). Da ricordare, sul versante registico, le sequenze piuttosto disturbanti dei parti, sottolineate dai primissimi piani su mani legate, bisturi che scorrono sulla carne e rapide inquadrature di gambe divaricate da cui fuoriescono liquidi organici. Altra caratteristiche della Stevenson è una certa insistenza nel proporre i rallenty.
Veniamo alla storia.Siamo a Roma, nel 1971, nove mesi prima dei fatti de Il Presagio a cui la pellicola si cuce nel finale. La produzione investe su auto e costumi, ben attenta a fare calare gli spettatori nel tempo che fu. Lo stesso non può dirsi per chi ha montanto le musiche ballate in discoteca. Si sentono infatti brani come Rumore di Raffaella Carrà e Daddy Cool dei Boney M che sono usciti qualche anno dopo rispetto all'anno di ambientazione del film.

La fotografia è molto più solare di quella del 1976, ma ciò non incide sulle atmosfere soffocanti e per buoni tratti claustrofobiche. Ben Jacoby, al soggetto, propone un plot che si apre con un antefatto violento (e un po' telefonato), per seguire uno sviluppo piuttosto lento che entra progressivamente nel vivo prendendosi tutti i tempi necessari. Purtroppo la regista – coadiuvata da Tim Smith e Keith Thomas – decide di restare in zona comfort in fatto di scrittura. La sceneggiatura infatti, oltre a ricalcare un paio di decessi su quelli già proposti da Richard Donner (il suicidio e la morte del prete provocata da un oggetto sacro che piove dall'alto), si tiene ben lontana dal proposito di innovare, preferendo percorrere vie commerciali già battute da altre celebri pellicole. Fortissime, infatti, sono le contaminazioni con Rosemary's Baby (la parte dell'amore della madre per la creature demoniaca), il nusploitation (sebbene la storia non sia ambientata in un convento, bensì in un orfanotrofio gestito da suore), La Chiesa di Michele Soavi (accoppiamento bestiale per mano dei preti) e persino Suspiria di Luca Guadagnino da cui viene ripresa la parte finale.

Stranamente si decide di modificare alcuni elementi della storia di David Seltzer. In prima battuta, l'anticristo non viene più partorito da uno sciacallo, ma da una donna ingravidata da uno sciacallo-demone (bella la scena dell'accoppiamento). Più comprensibile, invece, la scelta di introdurre la variante della sorella gemella dell'anticristo. Pare ovvio ritenere, infatti, che gli autori abbiano voluto riservarsi la possibilità di proseguire la serie con un sequel parallelo alle vicende de Il Presagio e La Maledizione di Damien. Non mancano i vuoti narrativi, a partire dalla creatura demoniaca (lo sciacallo) che vive nei sotterranei dell'orfanotrofio, di cui non è dato sapere nulla, e che viene mostrata all'epilogo misteriosamente abbandonata dagli accoliti demoniaci (che agirebbero per il bene della Chiesa, favorendo l'avvento dell'anticristo col fine di avvicinare le persone alla chiesa!?). Non convince inoltre la salvezza di Padre Brennan (rimasto coinvolto in un sinistro, ma non finito dai prelati deviati) e soprattutto delle “sorelle sataniche” e della neonata che riescono a salvarsi dall'incendio che avrebbe dovuto ucciderle.

Insomma, si poteva fare di meglio, ma non c'è da lamentarsi, poiché il risultato sperato viene comunque centrato. The First Omen è di gran lunga superiore alla media degli horror del nuovo secolo (a partire da L'Esorcista del Papa). La sensazione di disagio dello spettatore è costante per buona parte della proiezione, consentendo al film di fare il suo lavoro. In molte sequenze inquieta, aiutato dagli effetti sonori e dalla colonna sonora. Non manca qualche effetto grandguignol, nel rispetto del primo capitolo. Piacciono meno gli effetti “bubù settete” alla Conjuring, con spettri che si materializzano d'improvviso giusto per far saltare sulle poltroncine gli spettatori.

Sul versante recitativo, piace molto Nell Tiger Free, nei panni della protagonista. Delicata e dolce, l'attrice inquieta con alcuni sorrisi distorti che rimandano a quello del piccolo Damien dell'epilogo del film di Donner ma anche a Lost Souls. Da rilevare un paio di inquadrature, dall'alto, sulla testa della Tiger Free, sdraiata a letto e spettinata in modo da ricordare la chioma di Medusa. Sinistra Ishtar Currie Wilson nei panni di una suora ritardata; erotica e provocante Maria Caballero, che rappresenta il ruolo di una suora tentatrice che ricorda la meretrice di Babilonia. Vietato ai minori di anni 14. Da vedere.

 

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