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Origin

Regia di Ava DuVernay vedi scheda film

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La recensione su Origin

di port cros
6 stelle

80° MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA – IN CONCORSO

 

Nel 2020 la scrittrice afroamericana Isabel Wilkerson pubblica il saggio Caste: The Origins of Our Discontents, ove individua l’origine dei problemi razziali negli Stati Uniti dell’era di Black Lives Matter nel concetto di casta, di cui il razzismo rappresenta solo un aspetto e che l’autrice ricollega alla persecuzione nazista degli ebrei e al sistema indiano delle caste che vede i dalit o intoccabili posti al di sotto della gerarchia sociale, allargando la visione dagli USA al piano globale, con l’esempio indiano a dimostrare che non è sempre e solo il colore della pelle a determinare la discriminazione e segregazione di intere classi di esseri umani.

 

Il film di Ava Du Vernay racconta la genesi di questo libro, a partire dalla vicenda privata della Wilkerson (la perdita della madre e del marito) e dalle sue conversazione su tematiche razziali con parenti, amici e colleghi, per poi mostrare il suo percorso di ricerca che prende le mosse dall’assassinio del diciassettenne nero Trayvon Martin da parte di un vigilante in Florida e la porterà a Berlino e in India, oltre che in patria ad incontrare i testimoni della segregazione razziale degli anni 50, ed inserendo anche le ricostruzioni di episodi storici citati nel libro. Nel cast la Du Vernay ha voluto un mix di attori professionisti (Isabel Wilkerson è interpretata da Aunjanue L. Ellis) e di persone reali chiamate a rappresentare se stesse (ad esempio gli accademici indiani studiosi di intoccabili).

 

Origin presenta l’originalità, nel panorama cinematografico, di essere l’adattamento di un saggio invece che, come avviene di solito, di un romanzo, ma di conseguenza sconta l’aderenza alla sua fonte con numerose sequenze didascaliche ed esplicative di concetti teorici, in cui pare di assistere a una conferenza più che di vedere un film.

 

Tuttavia la regista azzecca la drammatizzazione degli episodi storici citati dalla Wilkerson a sostegno della sua tesi , l'empatia dei suoi incontri con umani di ogni latitudine e l’intreccio della trasposizione delle pagine del libro con la biografia della scrittrice, alle prese con lutti familiari e con gli effetti stressanti anche sul piano personale del dibattito sul razzismo. È difficile per lei accettare serenamente che i tedeschi non mettano la tratta degli schiavi neri sullo stesso piano della Shoah quale male assoluto, ma una delle morali del testo e della pellicola è che non si può superare il trauma negandolo, ma solo affrontandolo, per cui la stesura del saggio sortisce un effetto catartico e terapeutico per la sua autrice.

 

La sequenza più riuscita e commovente è la ricostruzione della testimonianza di un anziano che ricorda un episodio della sua infanzia, quando a un compagno nero fu impedito di fare il bagno in piscina con gli altri ragazzini della sua squadra per timore che contaminasse l’acqua e alla fine venne escogitata l’assurda soluzione di farlo galleggiare su un materassino a condizione che evitasse di bagnarsi. Alla fine della sequenza i due piani della narrazione si fondono immaginando l’incontro della scrittrice con il bambino nero discriminato, destinato a diventare un professore universitario che Isabel Wilkerson per pochi mesi non riuscirà ad incontrare prima della sua morte ad ottantadue anni.

 

 

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