Regia di Sean Durkin vedi scheda film
AL CINEMA
"Ragazzi, la nostra grandezza verrà misurata dalla nostra resistenza alle avversità".
La saga della famiglia di lottatori americani Von Erich dai '70 al nuovo millennio racchiude in sé tutto il materiale tossico che caratterizza lo stile di vita, dal cibo allo sport, dagli interessi all'indole, di una civiltà che pare giunta al suo limite di tolleranza, quanto a rozzezza e a capacità di auto-implodere.
Nel centro del ring della vita troviamo: un lottatore che si specializza in una disciplina che è tutta una mascherata; una moglie devota che si fa mettere docilmente incinta in ogni occasione utile; cinque figli maschi che un padre tutto preferenze e simpatie, volubile e tiranno quanto basta per inculcare loro la follia di una disciplina discutibile nella sua dinamica, come anche nella sua disciplina, vorrebbero esser degni di un tal genitore. Quattro dei cinque robusti ed affamati figli in questione avranno vita breve.
Certo, da quel che mangiano già a colazione, a base di uova strapazzate e bacon fritto e rifritto, non c'è molto da stupirsi che uno di loro si ritrovi con lo stomaco perforato e muoia ventenne. Inoltre in una America trumpiana che deve difendersi da ciò che non è rigorosamente ed autenticamente"made in Usa", un padre collezionista di pistole non dovrebbe troppo stupirsi che un'altro dei figli si suicidi alla prima tragica difficoltà da affrontare.
E nemmeno che l'altro sfortunato fratello si impastrocchi e si tolga la vita con i medicinali che chiunque può comprare in qualsiasi shop.
Il figlio superstite, ovvero il maggiore, interpretato da un anabolizzato Zac Efron piuttosto convincente ed irriconoscibile tanto gommoso appare nella sua tenuta perennemente adamitica lungo tutta la vicenda, si ritrova a diventare da figlio snobbato, votato a perenne sacrificio e tenuto immeritatamente in disparte, ad unico futuro possibile per quella famiglia trash di noti wrestler.
"Perché ci sta succedendo questo?
Perché continua a succederci?
È una maledizione?"
Diretto con scrupolo ed un efficace ritmo narrativo dal bravo regista statunitense dell'ottimo serial Southcliffe, Sean Durkin, The Warrior - The Iron Claw descrive i tratti kitch, anzi completamente trash, di una famiglia tipo made in Usa, impegnata a vivere e ad autodistruggersi tra megalomanie e falsi miti di un sogno americano che fonda le sue basi tra i basamenti mobili e farlo chi di un ring ove tutto è ricostruito, trasformato in eccesso, deformato da reazioni esagerate e fuori luogo.
Sono gli States che costruiscono mostri o intere famiglie mostruose sulla falsariga di santoni e guru in grado di creare proseliti e falsi miti a cui sottomettersi come zelanti seguaci incapaci di pensare con una propria autonomia e capacità di critica.
Il film ha il merito di raccontare benissimo questo devasto culturale e morale, trasformato in una vera e propria professione di fede in nome di una intraprendenza ed una capacità di realizzarsi che nasce e si fonda su un malsano spirito competitivo inculcato da padri folli a figli senza personalità o troppo condizionato dalla figura genitoriale deviata e tossica.
Una sciagura annunciata che si rivela già devastante nel medio periodo attraverso un fallimento assoluto della famiglia e delle responsabilità che ad essa competono.
Una rovina ed una progressiva autodistruzione sia in termini fisici che etici, morali, spirituali e che dir si voglia ancora, che avantaggia un degrado verso un baratro morale e materiale calmierato da una nociva dose di tossico buonismo e patetismo micidiali.
Il film registra e assimila tutta questa progressiva discesa verso abissi senza ritorno, ma senza nel contempo prendersi la briga di prendere distanze: registrando e raccontando epopee di vita che lascino libero lo spettatore di trarne le proprie doverose conclusioni.
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