Regia di Oz Perkins vedi scheda film
AVE SATANA...
Come dicevo, settimana proficua quella scorsa con l’horror. E stavolta con un SIGNOR horror. LONGLEGS di Oz Perkins. Già dopo questo avevo recuperato FEBRUARY-L’INNOCENZA DEL MALE e scoperto che era stato in NOPE di Jordan Peele, quindi non si può considerarlo proprio un figlio di papà fatto e finito…
In Oregon l’agente dell’FBI Lee Harker indaga sugli omicidi di Longlegs, un misterioso serial killer che lascia dei criptici e crittati messaggi sul luogo del delitto, e che sembrerebbero però sulla carta più degli omicidi/suicidi in quanto non ci sono mai segni di effrazione. Durante le indagini, tra indizi, ricerche e un particolare sesto senso, la donna è afflitta da un brutto ricordo di un evento di vent’anni prima quando incontrò fuori casa un inquietantissimo individuo. Quest’ultimo sembrerebbe connesso in qualche modo con questi omicidi.
C’è chi costruisce la tensione, c’è chi la gira e chi la ricerca, ma Oz Perkins è la tensione stessa. Già dal primo minuto fino ai successivi 100 il film è pervaso da una tensione costante attraverso le inquadrature, il rapporto 2,39:1 che si stringe in stile anni ’70 per l’appunto nei flashback, i movimenti lenti, la fotografia di un rosso freddo e la colonna sonora del fratello Elvis arrangiata con pezzi anni ’90 che contrastano con il tutto. Un montaggio che passa a sequenze oniriche e surreali a quelle thriller. Una messa a fuoco e una profondità di campo nelle immagini che intensificano il brivido. Una recitazione da Dio con una Maika Monroe in grande forma da IT FOLLOWS e un Nicolas Cage che apparirà si e no sette minuti, ma molto angosciante per com’è truccato e sopra le righe senza mai essere anticlimatico, anzi tutto il contrario. Un sonoro lugubre e due jumpscare al bacio. Insomma, un comparto tecnico e una messinscena i-n-e-c-c-e-p-i-b-i-l-i che prendono il meglio da Kubrick, Hitchcock, Lynch e persino da Fincher.
Ora per quanto riguarda la storia, ricorda Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme quello sì, ma lo stampo vara più nell’horror che nel thriller toccando tematiche sulla fede, il satanismo e il trauma. Anche qui si sceglie di narrare non poco con i dialoghi e le immagini che riprendono a fuoco svariati oggetti di scena ed elementi non proprio messi lì a caso. Magari forse sul finale la componente sovrannaturale potrebbe un po’ disorientare, ma più che altro è una scelta narrativa interpretativa e ponderante. La violenza d’effetto c’è, specialmente quella fuoricampo.
Insomma, caro Anthony Perkins, buon sangue non mente…
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