Regia di Vito Pandolfi vedi scheda film
In un paesino del Friuli vive il piccolo Checo con la sua famiglia. Una famiglia di contadini, povera e rassegnata alla miseria. Checo viene soprannominato 'spaventapasseri' dagli altri bambini e ridicolizzato; lo spaventapasseri nei campi diventa così il simbolo mostruoso delle paure del piccolo, arrivando a comparirgli nel buio della sua cameretta, di notte, come un minaccioso presagio di disgrazie. Checo ha solo dieci anni, ma ha fretta di crescere per scappare da quel posto senza un futuro. Improvvisamente, capisce come fare.
Singolare, la parabola artistica di Vito Pandolfi, che esordisce nel lungometraggio non più giovanissimo (nel 1963 ha 46 anni, essendo nato nel 1917) e, dopo questo Gli ultimi, abbandona il set cinematografico. Ma Pandolfi aveva già prima una discreta carriera alle spalle come regista teatrale, come critico e aveva persino ricoperto il ruolo di assistente di Jean Renoir ne La carrozza d'oro (1952). Le sue competenze tecniche non sono mai in dubbio, osservando questa pellicola, e rimane il rammarico nel sapere che non vi sarà mai un'opera seconda per lui. Gli ultimi è un lavoro malinconico e spettrale, girato in un bianco e nero (fotografia di Armando Nannuzzi) che restituisce la spenta desolazione delle campagne friulane in cui il racconto è ambientato; a proposito della storia, il soggetto è uno scritto autobiografico di David Maria Turoldo, sacerdote non troppo gradito alla Chiesa a causa del suo atteggiamento inquieto e innovatore, trasformato in sceneggiatura dal regista. Gli interpreti sono tutti presi sul posto: il film viene girato nel minuscolo paesino di Coderno (Udine) e l'unica attrice non del luogo, in una parte marginale, è Vera Pescarolo, sorella d'altronde dell'aiutoregista Leo Pescarolo. Bell'esempio di cinema a basso costo, basato su idee forti e tenuto insieme dal mestiere (menzioni d'obbligo anche per il montaggio di Iolanda Benvenuti e per la colonna sonora di Carlo Rustichelli, non esattamente due sconosciuti). 6,5/10.
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