Regia di Alex Garland vedi scheda film
Garland continua a piacermi a metà.
Per quasi la prima ora di film decanta il nulla mal celandolo dietro una serie di truculenze assortite che danno la misura ad un road movie che non si capisce bene dove voglia andare a parare: mal governo? Tolleranza? Diritto di cronaca?
Resta l'immagine di un America spaventata e crudele , sempre con il fucile in mano, pronta a fare quello sa fare meglio.
Lungo il viaggio che porta quattro fotografi di guerra ad attraversare mezzo paese con l'obiettivo di intervistare il Presidente blindato a Washington, ci sono lunghe pause riflessive, nelle quali il silenzio delle strade è l'immagine di un paese alla deriva , in cui la vita umana conta quanto dare una risposta giusta alla domanda: "che genere di americano sei ?"
Km dopo km si svela così il vero volto di una nazione che implode sotto il peso dei propri ideali, la cui innocenza è persa per sempre.
Nella seconda parte il film cambia totalmente pelle, diventanto una caccia all'uomo dal ritmo frenetico , una corsa contro il tempo, frenetica come la camera a mano che ne immortala l'urgenza.
Quale sacrificio sei disposto a fare per raccontare una storia? Il film si interroga su questo più che sulle motivazioni della guerra civile che attanaglia il paese e che rimane sullo sfondo, mero pretesto per raccontare un dilemma maggiore, quello che riguarda la verità.
"Noi non ci facciamo domande. Noi raccontiamo affinché gli altri si pongano domande". È questa l'unica speranza , quella di una cronaca neutrale che restituisca la realtà dei fatti, una missione per compiere la quale non si arretra davanti a niente, neanche alla morte.
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