Regia di Alex Garland vedi scheda film
Un road movie di puro genere, che accantona quasi tutte le premesse teoriche di partenza per un tour nel “cuore nero” di un'America più attuale che distopica.
Volto sgualcito e impallidito, sguardo vitreo, piglio cinico: la fotografa di guerra Lee (un'eccellente Kirsten Dunst, rilanciata da Il potere del cane) si muove tra sommosse, blitz armati, scenari devastati, cadaveri freschi. È ormai consumata dentro e fuori da tutto l'orrore assorbito – e mediato – in virtù del suo lavoro. Un orrore che parrebbe non sortirle più alcun tipo di rigetto. Intanto, però, non smette di scattare. Se un tempo si trattava di passione e vocazione, ora è coazione a ripetere svuotata di orizzonte. Ma in effetti non sono da meno i soldati che non sanno più nemmeno a chi stanno sparando e perché: del resto, to shoot in inglese significa sia "freddare" che "immortalare", tant'è che la crisi della civiltà democratica si intreccia, in Civil War, a quella di un giornalismo che ha perso qualunque speranza di agire sulla realtà – ma l'ha mai davvero avuta? – e che, per credere ancora di poterlo fare, si "incolla" ad essa con un gelido appiattimento (finendo per tenere in vita quello stesso male che si proponeva di sradicare). Ma esiste un modo filosoficamente "corretto" di riprendere un mondo alle soglie del caos violento e della catastrofe? In quanto lui stesso creatore di immagini (cinematografiche), Alex Garland fa i conti con gli stessi dilemmi "etici" di Lee (su tutti, l'odierna ossessione per un'immagine "instagrammabile", perfetta in estetica e definizione a prescindere dal contenuto). L'apparenza suggerisce un passaggio di consegne tra una vecchia guardia "saggia" e una nuova generazione più incosciente, ma in realtà la ventenne Jessie (la sempre più brava Cailee Spaeny, Coppa Volpi per Priscilla di Sofia Coppola e interprete principale di Alien: Romulus) non è meno ambiziosa di Lee, che in lei rivede infatti il suo stesso ardore di gioventù. Per non parlare dell'anziano Sam (Stephen McKinley Henderson) e del sornione Joel (Wagner Moura), completamente immuni da rigurgiti di deontologia professionale. Tuttavia, per le sopra esposte motivazioni, Garland non ha il sufficiente fegato per spingere il film verso la disperazione più cruda (fermandosi a una vaga malinconia), a causa della sua (inevitabile?) vicinanza "solidale" al mestiere dei protagonisti, tratteggiati innanzitutto con amore e di cui elude le potenziali responsabilità morali (si veda, su questo, l'ambigua conclusione) a favore di un road movie di puro genere, che accantona quasi tutte le premesse teoriche di partenza per un tour (a tratti dispersivo, a tratti scontato) nel "cuore nero" di un'America più attuale che distopica, colma di un odio che è solo in attesa di un pretesto per essere sfogato (da brividi la sequenza con Jesse Plemons estremista pazzo), in un contesto politico "futuribile" che rimane però fumoso (il che ne innalza il tasso di inquietudine senza certezze, ma sospende ulteriormente il portato ideologico degli assunti). E anche la texture visiva iperrealista (curata da Rob Hardy), non a caso, è pronta sovente a offuscarsi nell'astratto, come accade nel (pur straordinario) assalto militare golpista alla Casa Bianca dell'ultima parte.
Musica di Ben Salisbury e Geoff Barrow, con ricca soundtrack tra il country e il contemporary R&B.
Voto: 6 — Film DISCRETO
VISTO al CINEMA
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