Regia di Alex Garland vedi scheda film
AL CINEMA
Negli Usa c'è la guerra.
Nuovamente a casa loro, come ai tempi, ormai assai lontani, della Guerra di Secessione (1861-1865).
E di guerra civile si tratta nuovamente, da quando le cosiddette "forze occidentali" si sono ribellare al potere di Washington e si sono armate per debellare le forze ufficiali per rendersi indipendenti.
Alex Garland non intende spiegarci altro dettaglio di ciò che ha prodotto questa devastante degenerazione, quanto piuttosto descriverci cosa significa ripiombare nei meandri di una sanguinosa lotta fratricida, senza regole e senza scampo per civili e chiunque si trovi in mezzo ad uno scontro a fuoco senza regole, sotto al fuoco di armi all'avanguardia e dal gran potere distruttivo.
Il problema di Civil War è forse quello di volersi concentrare eccessivamente su uno sparuto numero di testimoni, che nel caso si sostanziano in un manipolo di giornalisti impegnati a documentare i risvolti più sconvolgenti che fanno seguito ad uno scontro senza quartiere.
Un microcosmo un po' troppo a cliché, impegnato ad affrontare l'orrore di una guerriglia più che mai senza regole, che vorremmo tuttavia vedere con gli occhi di una globalità che vada al di là delle singole esperienze personali, spesso fuorvianti o limitative.
Quando infatti la nota fotoreporter Jesse (una valida e ritrovata Kirsten Dunst dal volto comprensibilmente sofferto e sciupato) salva la vita alla sua aspirante nuova versione attualizzata ed aggiornata (Cailee Spaeny, la recente Priscilla coppoliana), costei si unisce al suo idolo e al collega con cui ella si accompagna (il Wagner Moura brasiliano di Tropa de Elite) per raggiungere la Casa Bianca e documentare l'origine nevralgica di un dissidio e la imminente destituzione del grande capo, solo fino a poco tempo prima democraticamente accettato nel gioco di una alternanza politica ed ideologica non poi così profonda e disparata come appare invece in molte altre democrazie di stampo europeo.
Ma Civil War rimane, come anticipato sopra, ancorato alla zavorra di un ricatto morale rappresentato da una esperienza troppo privata, che si riflette inevitabilmente su relative sensibilità troppo personali per rispecchiarsi validamente in una epopea tragica come l'ipotesi di una nuova, tremenda quanto imprevista vicenda bellica fratricida.
La guerra civile delle "forze occidentali" contro un potere presidenziale ufficiale, si trasforma in un conflitto generico, vago ed arbitrario al punto da infastidire.
Il film, tecnicamente ineccepibile, se da una parte conferma la professionalità di un valido cineasta come è senza dubbio Alex Garland, dall'altro perde moltissimo tempo nel suo vano incipit dai connotati inconcludenti, per poi riprendersi in un concitato finale fatto di ottime riprese ardite, ma anche succube di una ricostruzione realista ma un po' troppo artefatta, ove i protagonisti si trovano a perdere strada e tempo in circostanze anche drammatiche e funeste, ma pur sempre in grado di trovarsi, loro e senza nessun altro concorrente, al momento giusto nel posto giusto, ovvero i primi a varcare la soglia di una Casa Bianca invasa e debellata dal vecchio presidente.
Certo nel film un cameo eccezionale di un "mostruoso" Jesse Plemons (nella vita compagno della Dunst e già assieme ne Il potere del cane di Jane Campion), militare pazzo dall'occhiale rosso sangue, si trasforma quasi nella vera ragion d'essere di un film in cui il resto dei protagonisti è troppo qualunque, troppo emotivamente prevedibile, troppo ridondante nella reazione che li contraddistingue e tratteggia.
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