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The Bikeriders

Regia di Jeff Nichols vedi scheda film

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La recensione su The Bikeriders

di SamP21
8 stelle

Il motociclista o biker americano è un personaggio che ha segnato la storia del cinema; Brando ne “il selvaggio”, Hooper e Fonda in “Easy rider”, Blake in “Electra glide” e la lista potrebbe continuare all’infinito.

 

La motocicletta (Battisti docet), l’aria nei capelli, il fascino di uscire dalle regole, l’evadere da una realtà ormai ristretta, i cambiamenti tra fine anni ‘60 e inizio anni ‘70. Nichols parte da un bellissimo libro che mostrava questo club di motociclisti per raccontare delle vite ed un passaggio fondamentale della storia americana, ancora oggi significativo.

 

La trama in breve:

 

Anni ’60, Stati Uniti medio occidentali. Un club motociclistico fondato di recente scala velocemente i ranghi di influenza nel circuito dei gruppi di biker del Midwest. Nel corso di un decennio, il club si evolve: da luogo di ritrovo per sconosciuti della zona con la passione per la moto, a banda dagli scopi più sinistri, incompatibili con lo stile di vita del gruppo originale.

 

Ci sono due aspetti importanti, tra gli altri, in questo film. Il primo è l’incontro-scontro attoriale/generazionale tra Hardy e Butler che fa risaltare entrambi, anche se mostra soprattutto le grandi capacità del primo che riesce qui a cambiare aspetto e voce per mostrarci un personaggio che guida il club con la sua durezza, come un vecchio padre di famiglia. È esemplare un passaggio in cui la moglie di Benny (Butler) dice, questi uomini non hanno mai seguito regole e ora dentro al club si sono dati molte regole (anche rigide aggiungo io). Hardy è il capo in un club che è una famiglia, Butler è mistero e fascino e così arriviamo al secondo punto.

 

Il film rimette al centro dell’attenzione almeno in parte, la fascinazione maschile, il corpo desiderato maschile incarnato da Butler (com’era per Brando settant’anni fa); del resto sua moglie Kathy, da cui apprendiamo tutta la storia, non gli ha resistito proprio per la sua bellezza e il suo essere fascino imprendibile e per la sua misteriosità.

 

La storia si sviluppa, andando avanti e indietro, tra il ’65 e il ’73. L’America subirà cambiamenti radicali in quegli anni. Se all’inizio, senza un fine dichiaratamente politico (un po’ come certi personaggi interpretati da Paul Newman, erede-prosecuzione di Brando e Dean) il club si ispirava solamente all’idea di libertà per ricreare una comunità tra simili e godersi le moto, le birre, i giubbotti di pelle, le nuove regole; durante il film, con il progredire degli anni e soprattutto nel violento finale, capiamo che quei giubbotti e le bandane si sono trasformate in un modo di vivere che qualcuno non vuole accettare e anzi affrontare ed eliminare.

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(Da qui si parla del finale)

 

Benny del resto viene picchiato perché non vuole togliersi il giubbotto (ci viene in mente il tragico finale di “Easy rider”), Johnny viene addirittura ucciso da un ragazzo che farà diventare il club una banda; il vento è cambiato non c’è più spazio per una rivoluzione (cosciente o men che sia).

 

Nichols lavora sull’immaginario cinefilo, riporta alla mente tanto cinema dell’epoca, confeziona un ritratto umano di grande forza, con immagini potenti: si pensi alla prima volta che Kathy capisce veramente chi sono questi uomini sulla moto, che potere di fascinazione hanno, oppure alla scazzottata nel fango, o ancora al momento in cui Kathy rischia di essere violentata (sembra quasi una scena da horror per la forza che ha).

 

C’è nell’aria una certa nostalgia della libertà degli anni ’60, mista alla malinconia nel ragionare su un passaggio che è stato brusco e doloroso: la caduta degli dei, la fine di un’epoca, l’inizio del baratro, una violenza scellerata ed incontrollabile.

 

Anche se il finale è conciliatorio, ci mostra i due sposi distanti da quel passato con il sorriso in faccia e la convinzione di una nuova vita, usciti da un tunnel pericoloso; rimane negli occhi la forza di un’evasione da una realtà per un’idea che pur con dei lati oscuri, la banda/il branco, era distante dalla violenza che sarebbe arrivata, violenza scaturita dall’orrore visto in casa (come ci mostra Nichols) e dalla voglia di riscattarsi a tutti i costi.

 

In The Bikeriders troverete tante cose, nulla di epico (non c’è più spazio per l’epica?), ma più che altro un racconto umano e una parte di storia americana e del suo cinema, con un Hardy magnifico.

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