Regia di James Marsh vedi scheda film
Un capolavoro di rara finezza e precisione nel ricordare l'uomo e l'artista
Una biografia essenziale, quadri di una vita, dall’infanzia alla vecchiaia, in cui appaiono per poi scomparire le figure e i momenti, anche lunghi momenti, che hanno creato quel mondo che per tutti sono il lascito che persiste fino alla fine, quando tutto il resto scompare e vediamo passare sul palcoscenico della mente la lunga teoria dei ricordi che resistono.
Il costante substrato dell’ esistenza, lo chiamò Jung.
“Da principio tutto gli è dato, tutto dipende da lui, tutto gli accade ed è solo con grande sforzo che alla fine riesce a conquistarsi e a mantenere una sfera di relativa libertà. Solo quando si è assicurata tale conquista, solo allora, è in condizione di poter riconoscere che si trova di fronte alle sue fondamenta, ai suoi principi - involontari perché gli sono stati dati - che egli non può sopprimere. I suoi principi non sono semplicemente qualcosa che appartiene al passato, ma vivono in lui come il costante substrato della sua esistenza, plasmandone la coscienza almeno tanto quanto il mondo fisico che lo circonda.” (C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni).
L’incontro con il suo alter ego, il suo doppio, che appare nella grotta in pietra dove Sam si rifugia scappando dai festeggiamenti per il Nobel con fuga rischiosa e rovinosa, è l’occasione per ripercorrere pezzi di vita sedimentati nel lungo trascorrere degli anni, e ogni volta è un nome, una donna amata, due donne amate, un amico preso dalla Gestapo, un incontro determinante, Joyce, con la sua strana famiglia, la militanza nella Resistenza e il rifugio a Roussillon con Suzanne, la ragazza del tennis (i modi che hanno i giovani per indicare gli amici!).
Ma all’origine di tutto ci sono padre e madre, incastonati nel suo essere bambino d’inizio secolo in una Dublino da cui Joyce era fuggito da tempo, pur rimanendone segnato per la vita.
Beckett lo raggiungerà a Parigi e sarà il primo incontro dell’adolescente con il genio che si preparava ad essere anche lui.
Il ricordo delle ultime parole del padre, Lotta, lotta, lotta, e quell’aquilone che gli insegnò a far volare sono la dolcezza della sua vita, insieme all’amore per Suzanne.
L’amaro invece fu la figura castrante e anaffettiva della madre, donna paranoica di cui, pure, Marsh coglie in un flash brevissimo del volto una contrazione dolorosa.
Quell’aquilone vola ancora nel cielo oltre la finestra che è il suo orizzonte di anziano paralitico, ma alla fine cadrà anche quello, come quel giorno, da bambino.
E gli aquiloni dovrebbero solo volare, quando cadono è finito tutto.
Marsh gira un film di elegante compostezza, strepitosa la trovata di far intervenire il suo doppio, la oscienza di Samuel, nella decisione a chi devolvere i soldi del Nobel.
Alla fine torna il bambino, la vita è circolare, si sa, e i soldi andranno a finanziare giovani carriere sottratte ai condizionamenti famigliari.
La musica del film è l’altro grande credito, da Schubert a Beehtoven, passando per un omaggio in sordina alla Napoli di Torna a Surriento, segue con precisione attenta i momenti topici della vicenda, mentre la fotografia di Antonio Paladino alterna colore e bianco e nero con giusta cadenza, illumina e toglie luce, crea il colore sfocato del passato e lo sfavillìo dei momenti belli.
Nello script sentiamo la voce dell’uomo, il genio traspare ma non s’indugia in didascaliche commemorazioni, solo di Aspettando Godot è memorabile la sua risposta a chi gli chiede dove sia la landa desolata in cui Vladimiro ed Estragone aspettano invano.
E’ qualsiasi posto del mondo in cui siamo capitati a stare.
Un film per chi conosce Beckett e per chi non lo conosce, e Prima danza e poi pensa racchiude il mondo di un genio che non cercava il successo, pensava con nostalgia ai giorni belli della giovinezza a Roussillon con la sua Suzanne e snobbò perfino il Nobel.
Gabriel Byrne e Sandrine Bonnaire sono attori perfetti, a Beckett sarebbero piaciuti molto.
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