Regia di Emerald Fennell vedi scheda film
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"No, io non gli volevo bene.
Si che tutti credevano che gliene volessi. Ma non era così.
Io lo amavo!
Lo amavo!
Dio mio se lo amavo!"
Il cinema, ma ancora prima la letteratura, ci hanno sempre insegnato che quasi sempre i ricchi sono fatui, sciocchi e creduloni.
I poveri, al contrario, lavorano su questi spesso eclatanti punti deboli per potersene avvantaggiare.
In più, se il ricco è bello ed avvenente, le possibilità che il povero possa lavorarci sopra con convinzione diventano eccelse, ideali, proficue sino a risultati che sfiorano il diabolico.
Saltburn è la regalo residenza che, da tempo probabilmente immemore, dà ospitalità alla nobile famiglia che ne detiene i diritti di proprietà, ed oggi vi bivacca annoiata, ospitando qualche infelice solo per poter disporre di qualcuno con cui potersi sfogare, o che sia in condizioni di sudditanza tali da acconsentire di sopportarli.
Il bel figlio della coppia che vive a Saltburn, Felix, frequenta una prestigiosa università e qui conosce un nerd un po' complessato e solitario, intelligente e preparato, di nome Oliver, che grazie a lui riesce a farsi strada tra la gente che conta in quel campus esclusivo.
Ma Oliver rimane soprattutto estasiato dalla bellezza e dal modo di interagire di Felix con chi lo circonda.
Al punto da inventarsi una esistenza triste e disagiata che, invece, non gli appartiene, e al punto da non lasciarsi alle spalle la allettante offerta di trascorrere le lunghe vacanze estive nella reggia che dà pertinentemente titolo al film.
Ne succederanno delle belle, in quella reggia, tra i vizi e le poche virtù di quella nobiltà annoiata e fatua.
Anche troppe, o comunque oltre ogni razionale verosimiglianza.
Ma il bello del cinema è anche questo, e l'opera seconda dell'attrice britannica Emerald Fennell, nota a molti dopo l'esordio tutt'altro che in sordina o trascurabile riscontrato con il ferino e vendicativo Una donna promettente (2020), gioca ulteriormente a stordire lo spettatore con soluzioni narrative e visive dirompenti che urtano, disturbano, e riescono a catapultare l'attenzione mediatica, facendo parlare di sé, nel bene come nel male.
Se si pensa a colleghi registi contemporanei parimenti spesso tendenziosi ed irritanti, la Fennell ha ancora diversa strada da percorrere per eguagliare l'abilità di nomi celebri e premiati come il Darren Aronofsky di Madre! o il Robert Ostlund di Triangle of sadness, penultimo vincitore di una Palma d'oro a Cannes.
Se si insiste poi nel fare penetrare il dito nella piaga, le verità, presunte o assurte a luogo comune riguardo ai vizi ed ai vezzi della classe nobiliare, la Fennell aggiunge ben poco a quanto detto o raccontato fino ad oggi al riguardo.
E anche le cosiddette scene forti e pseudo urticanti, come la bevuta in doccia o lo sfogo sessuale su terra sepolcrale, sono alla fine cose davvero poco irritanti se si pensa a dove sono arrivati, con astuzia e furbizia, i due illustri colleghi di costei, poco sopra citati.
Saltburn funziona anche molto grazie al suo cast indovinato.
Barry Keoghan nel ruolo di Oliver è straordinario, ma non più della sua resa media in ogni altra produzione in cui il giovane attore irlandese poco più che trentenne è stato sino ad oggi coinvolto. La britannica Rosemund Pike si conferma perfetta in ruoli da donna fatale, oltre che succube, mentre il nuovo divo australiano Jacob Elordi, che sfonderà e susciterà non meno clamori con lo sbiadito e fiacco Priscilla della Coppola interpretando niente meno che Elvis Presley, si limita ad emanare fascino e a risultare una credibile miccia utile a far esplodere la miccia per un piano diabolico, quanto altamente improbabile.
E comunque, quel finale "completely naked" di quel demonio birbante di Barry Keoghan, ruffiano, soddisfatto e danzante al ritmo di Sophie Ellis Bextor e la sua trascinate "Murder on a dance floor" è davvero uno spasso.
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