Regia di Coralie Fargeat vedi scheda film
Una donna alle prese col suo corpo che appassisce. Conseguenze...
Coralie Fargeat ha esordito al cinema con un filmaccio inutile dal titolo Revenge, del 2017. La critica lo esaltò. Sarò stato l'unico, credo, a rimanere sbalordito da tanto clamore. Ancora oggi mi domando il perché? Saranno stati forse i tempi del MeToo, del potere femminile e l'esplosione della ribellione del sesso cosiddetto "debole" ? Dovrebbero scegliere però film migliori per essere rappresentate. Revenge era brutto, davvero poca cosa. Inutile perdere tempo e parole.
La regista non demorde e dopo sette anni realizza il suo secondo lungometraggio, tutto al femminile, ovvio, dove l'uomo è la solita figurina, questa volta non violenta, o meglio, una violenza diversa, da ebete, con Dennis Quaid, in grande forma, a mostrarcela.
Però il fulcro del film non è l'uomo ebete, o la sua violenza contro le donne, bensì la dimostrazione di cosa significhi inseguire la bellezza esteriore eterna. La perfezione. La frescezza di un periodo di vita che va appassendo col passare del tiranno tempo. E Demi Moore (grandissima) non ci sta nel vedersi allo specchio, non più giovane.
Metafora neanche nascosta, spiaccicata e mostrata in tutta la sua forza e sperimentazione con cura, trovate sonore e violenza grafica da Coralie Fargeat, che sforna, questa volta si, un potente film. Margaret Qualley, la bellezza che la Moore ambisce, mostra bravura e forme.
Il risultato fa riflettere sull'implosione del desiderio. Il mostro che c'è in noi viene fuori, ma non è un esperimento, un corto circuito ma il reale volto di chi non si accetta. Una sofferenza che dovrebbe essere combattuta col proprio io e non dall'esterno, con magie e punture, nuovi Frankenstein e specchi delle mie brame.
L'ultima postilla è per la critica, ancora esaltata più del dovuto: applausi a scena aperta nei festival e delirio tra gli spettatori. Eppure certe cosucce si sono già viste, lavorate, create, ideate da altri: Lynch, Tsukamoto, Cronenberg, Yuzna ecc.ecc.
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