Regia di Coralie Fargeat vedi scheda film
Il tempo che passa è inesorabile anche se hai le sembianze di Demi Moore, alias Liz Sparkle, diva agée, almeno per i canoni Hollywoodiani, e che quindi va sostituita immantinente. Il mondo dello spettacolo attraverso le mani e le inquadrature della regista francese Coralie Fargeat riceve critiche non troppo velate. È solo da capire se destinate a chi decide di rischiare la propria salute pur di rimanere giovane e spendibile professionalmente, o indirizzate a chi la porta a una scelta teoricamente obbligata. In questo senso è Dennis Quaid, la figura capace di fare il verso, attraverso una parodia molto sopra le righe e ben riuscita, di chi si trova a capo incontrastato dei canali televisivi e del mondo dello spettacolo.
Come detto a impersonare la protagonista l’ex signora Willis, perfetta nell’incarnare la diva che non si rassegna allo sfiorire della propria bellezza e scelta non a caso proprio per via dei suoi trascorsi di donna e interprete di successo, ma al tempo stesso anche ampiamente over. A interpretare il suo “duplicato” la modella e attrice trentenne Margaret Qualley, figlia di Andie MacDowell, e già protagonista di numerose pellicole, oltre che ormai pronta per imporsi sul grande schermo, e con la quale la Moore duetta al punto di trasformare la vita della diva stagionata e del suo alter ego non nel Viale del Tramonto (Sunset Boulevard; 1950) di Norma Desmond, fatto di discorsi malinconici a ricordare il proprio passato scintillante, ma in un incubo degno di David Cronenberg perché quella che inizialmente dovrebbe essere una sinergia fra le parti, prende altresì una deriva decisamente fuori controllo.
Il cinema della regista francese colpisce perché giocato su momenti di pausa intrecciati con il pathos che da questi vengono esaltati. Basta infatti un semplice sguardo della Moore, o del suo “doppio”, per precipitare lo spettatore nei loro stessi gorghi di disperazione. E sarebbe troppo semplicistico ridurre la pellicola a una deriva horror per quanto le mutazioni fisiche, anche improvvise, e il sangue che scorre e cade a fiumi riescano a disturbare chi osserva.
Il secondo lungometraggio della Fargeat prosegue quindi quell'esplorazione fuori da schemi e canoni della nostra epoca. Se con Revenge (id.; 2017) la regista aveva rivisitato un genere, il Rape and Revenge Movie, declinandolo dal punto di vista femminile. Ora ci offre la presa di coscienza del singolo, declinandocela sempre al femminile, e con le sembianze di favola truculenta.
Presentato in anteprima al 77° Festival di Cannes e successivamente distribuito sia on-line, sulla piattaforma MUBI, sia sul grande schermo. Piacerà, e molto, a chi sa apprezzare i film sopra le righe e con una chiara deriva splatter.
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