Regia di Coralie Fargeat vedi scheda film
La citazione è il pane del nostro tempo. Morte a The Substance, gloria e vita al nuovo cinema.
Che i produttori producano. Che i registi creino. Che lo schermo trasmetta. Il popolo ha fame.
Guardare The Substance è come guardare cento film. Ogni scena, ogni inquadratura, ogni dettaglio è un rimando a qualcos’altro. C’è di tutto, da Cronenberg a Cenerentola. Ci sono riferimenti a matriosca; Fargeat cita Gerwig che cita Kubrick. Olè!
Ma, sorpresa delle sorprese, funziona. Perché, come dice Alessia in Come tu mi vuoi: le cose belle sono belle. Fine.
E poi, se Hitchcock ha rubato la scena della doccia in Psycho da La Settima Vittima di Robson, possiamo perdonare qualcosa a Coralie? Direi di sì.
Elisabeth è stata messa da parte, il mondo dello spettacolo non perdona. Cinquant’anni sono troppi. Che fare? Ricominciare da capo? Non si può. O forse sì. C’è un numero da chiamare. Il numero chiamato le dà un altro numero, il 503. C’è una stanza in periferia con dentro qualche armadietto. 502 armadietti direte voi. No, molti meno, saranno una decina. E tutti gli altri che fine hanno fatto? Chissenefrega. Bisogna ricominciare. Non c’è tempo per farsi delle domande. Elisabeth torna a casa, unboxing veloce per soddisfare il pubblico (quanto ci piacciono gli spacchettamenti). Si comincia. Si ricomincia. Arriva Sue. Arrivano i guai.
A questo punto qualcuno è già uscito dalla sala, ma io ho visto La Mosca, ho visto Society, ho visto Men settimana scorsa, questa è acqua fresca. C’è pure Margaret Qualley, chi mi ferma?
Quindi si va avanti, tra Dottor Jekyll e Mr. Hyde, stando attenti a rientrare a casa entro mezzanotte, evitando Strade Perdute, cercando di essere la donna che vive due volte, rinchiudendo ciò che non ci piace nella stanza più remota della nostra casa (mente), poi ancora più in fondo, nell’oscurità.
Ma i problemi vengono a galla, anzi, escono dal corpo, dalla carne. Non va bene. Non va più bene. Elisabeth richiama il numero, il tempo risponde: Non si torna indietro! Ciò che è fatto è fatto, tu sei una, divisa, ma sempre una. Vuoi fermarti qua?
No. Si va ancora avanti, fino all’irreparabile, fino alla completa rassegnazione, fino alla completa accettazione di sé.
Durante la presentazione del film alla Fondazione Prada di Milano, Coralie Fargeat ha spiegato il significato del finale:
La lotta termina quando Elisabeth diventa Monstro Elisasue, quando riscopre finalmente una sorta di amore per se stessa, proprio nel momento in cui non potrebbe essere più lontana dalla volontà che gli altri proiettano su di lei. È semplicemente felice di ciò che è.
Purtroppo però, la società non è cambiata e non è pronta ad accettarla.
Per cui la vendetta finale è un grande vaffanculo, un restituire la violenza subita nel modo più cruento possibile.
La Fargeat lavora anche con il rinforzo negativo, alternando le immagini del corpo ipersessualizzato di Sue a qualcosa di raccapricciante, come il cibo nella scena in cui Elisabeth cucina, o il sangue sui corpi delle ballerine nella scena finale.
Ma non è solo il sangue a disturbare, non sono solo le mutazioni. The Substance riesce a colpire duro anche quando la violenza non è fisica. Il vero punto di non ritorno per Elisabeth è quando si prepara per uscire con il suo vecchio compagno di scuola, fallendo e cadendo nella disperazione più totale. Sue la guarda, la giudica, Elisabeth non sarà mai più abbastanza per se stessa.
Quella è la scena madre del film, trasmette qualcosa che ogni donna ha provato almeno una volta nella vita.
Non è un capolavoro, forse è già un cult.
In ogni caso, che bello il cinema che non ti lascia indifferente.
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