Regia di Coralie Fargeat vedi scheda film
Coloratissimo trip pop à la Cronenberg nello showbiz della carne, nella sua alterazione e deformità, quando una sostanza sperimentale viene iniettata nell’organismo e dalla matrice (Demi Moore) si duplica una copia migliorata (ma solo nell’aspetto fisico, Margaret Qualley) dell’originale. E così l’eterno dilemma della bellezza femminile perduta, che gli anni corrodono e fanno svanire, potrebbe essere risolto, se non fosse per l’inestinguibile vanità che divora le donne, che davanti a uno specchio, rimangono stregate e conquistate dal loro riflesso.
Ritratti di Dorian Gray in versione aerobica, dove il corpo diventa simbolo del potere mediatico dei nostri tempi catodici, sezionato nei suoi scintillanti dettagli pornografici, in un’orgia di chiappe e labbra danzanti, una ipnotica e rosea e svergognata esaltazione di superfici epidermiche ingigantite dal grande schermo, nella ricerca di quell’amore, quella venerazione che ogni attrice desidera e anela prima di incamminarsi sul proprio viale del tramonto. Stelle che brillano nel cielo, stelle che hanno brillato, stelle incastonate in un pavimento, dove la fama di un nome rimarrà forse oltre il suo ricordo terreno. E se così non fosse? E se tutto fosse solo un atroce scherzo?
Desiderio di giovinezza e siringhe e forme di dipendenza e ingordi uomini di spettacolo (Dannis Quaid) le cui ganasce unte e bisunte si ingozzano di cocktail di gamberi mentre blaterano del tempo che passa e della fine delle erezioni - Intanto gli uomini hanno i soldi; la fica, dunque, non gli mancherà mai.
Corridoi e cessi da Overlook Hotel, dove le protagoniste inseguono i propri fantasmi e i miraggi di nuove illusioni. Distruttive dinamiche alternative in possibili sottotrame madre-figlia, gelosie e tradimenti e moniti subliminali all’unità, alla riconciliazione degli opposti. Da che parte stare? Da nessuna, naturalmente. Solo osservare, la lievità sintetica di una società in cui l’immagine (vera o fasulla) ha valore assoluto, un film adrenalinico, sgargiante, lucido e folle, cinico e a tratti ironico, a cui partecipare con disgusto, quando arriva il grandguignol della mostruosità o forse facendosi rapaci risate di stomaco. Non c’è nessun pudore o distacco lynchiano nello sguardo sul Monstro Elisasue, solo ennesima e sfiancante esibizione. Quindi accettare il gore, lo smembramento, la catastrofe finale. O guardare altrove.
E il sangue? A ettolitri.
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