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Nosferatu

Regia di Robert Eggers vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nosferatu

di GranRoyale
6 stelle

Il Nosferatu di Murnau è nato come adattamento del Dracula di Bram Stoker, romanzo da cui ha preso molto e cambiato qualcosa. Siccome la Prana-Film aveva le pezze al culo, pagare i diritti dell'opera letteraria non era possibile e andava trovato un rimedio. Galeen, lo sceneggiatore originale, venne incaricato di fare dei piccoli (ma grandi) cambiamenti. Quindi l'Inghilterra divenne Germania, Dracula divenne Orlok e Van Helsing uscì di scena. Ma soprattutto, da quel momento in avanti, Nosferatu divenne sinonimo di pestilenza. Orlok divenne portatore della più terribile delle pandemie.
Se il Conte Dracula (padre) incarna la paura del diverso, Il Conte Orlok (figlio) incarna la paura della malattia, fisica o mentale che sia.
Grazie a Murnau, ogni regista che negli anni successivi si è cimentato con la figura del vampiro, ha dovuto porsi una domanda a priori: farò un film sui vampiri oppure un film su Nosferatu?
Inutile dire che si tratta di una differenza non da poco.

 

Così, dopo molti film sui vampiri e solo due su Nosferatu, arriviamo ad oggi.
Credo che questo sia il primo film di Eggers nato con lo scopo preciso di raggiungere la più ampia fascia di pubblico possibile. Missione compiuta, visto che ad oggi è il film con i maggiori incassi per il regista statunitense, anche se non si può parlare di un vero e proprio successo commerciale.
Che l’idea fosse quella di puntare anche al pubblico generalista lo si può vedere dai nomi che hanno deciso di investire sulla pellicola. Abbiamo Chris Columbus (Harry Potter, Una Notte al Museo), abbiamo David Minkowski e Matthew Stillman (Narnia, Mission: Impossible, Spider-Man: Far From Home), infine abbiamo il detentore dei diritti per il remake di Nosferatu, cioè Jeff Robinov, già produttore di Air (il film sulla nascita del marchio Air Jordan).
Insomma, sicuramente non stiamo parlando di persone che puntano ad una nicchia di pubblico.
Già questa è una grossa dichiarazione di intenti, basta pensare che per The Lighthouse e The VVitch tra i produttori principali c’erano Jeffrey Penman e Lars Knudsen (Midsommar, Hereditary e Beau is Afraid).
Può essere brutto artisticamente parlando, ma i produttori hanno una grossa influenza sul risultato finale del film. Sicuramente Eggers non ha avuto la libertà decisionale che aveva nei suoi precedenti lavori.


Fatte queste precisazioni, va detto che la cifra stilistica del regista è stata confermata anche grazie ai suoi collaboratori storici. Kharmel Cochrane per i casting (ha contribuito a lanciare Anya Taylor-Joy), l’editor Louise Ford e il direttore della fotografia Jarin Blaschke, a cui va dato il merito di aver contribuito in maniera importante a definire lo stile di Eggers.
Quando si parla del film di un regista, bisogna sempre considerare i suoi collaboratori, che nella maggior parte dei casi hanno un grosso peso sul prodotto finale.
Tranne se ti chiami Tsukamoto, in quel caso il merito è tutto tuo. I love you Shinya.

 

Ma quindi, cos’è che Robertone nostro ha curato personalmente? Beh, la sceneggiatura ovviamente, che è anche la parte più debole di questo remake.
Approcciarsi ad un personaggio seminale come quello di Orlok non è per niente facile, a maggior ragione se devi contestualizzare una trama di un secolo fa. Eggers ha lavorato sulla sceneggiatura per quasi dieci anni (doveva essere il suo secondo film), quindi viene da pensare che nel corso del tempo siano state molte le modifiche apportate. Ad esempio, se il film fosse uscito a ridosso della pandemia, probabilmente la peste sarebbe stata il fulcro del racconto, come per il Nosferatu di Murnau.

Invece, forse per rendere il tutto più appetibile, la trama ruota intorno al personaggio di Ellen, a cui viene dedicato molto più spazio rispetto all’opera originale, come dimostra l’incipit della pellicola.


Il patto tra la moglie di Hutter e il Conte Orlok serve a dare maggior importanza alla protagonista femminile, a cui vengono attribuite molte più sfaccettature rispetto alla Ellen originale, per cui Nosferatu era quasi unicamente l’incarnazione di un istinto sessuale represso dalla società e dalle regole a cui dovevano sottostare le donne del passato.
La Ellen di Lily-Rose Depp invece, ha un vero e proprio legame con Nosferatu creatosi ben prima del tempo in cui si svolge la storia. Questo permette di spiegare l’attrazione animalesca tra i due, e la paura che ne consegue per lei, senza lasciare spazio alle interpretazioni. Purtroppo però, la forza del personaggio di Ellen nel film di Murnau era proprio l’ambiguità del rapporto con il conte, ambiguità che in questo remake si perde completamente a favore di un rapporto più classico tra demone e posseduta. L’esempio pratico lo abbiamo nella scena in cui lei è a letto in preda agli spasmi dovuti alla possessione, con chiari rimandi a L’Esorcista di Friedkin.

 

Il passato da costumista teatrale e scenografo di Eggers si nota molto rispetto ai suoi lavori precedenti. Il lavoro fatto sulle ambientazioni e sui costumi l'ho trovato stupendo. Infatti il rimando più lampante all'espressionismo della pellicola originale è proprio quello legato alle scenografie. Guardando con attenzione, si nota l'artificiosità dei luoghi e penso che sia una cosa cercata da Eggers, che anzi avrebbe voluto spingere di più sul pedale della teatralità. Questa cosa la si nota anche nelle interpretazioni degli attori, soprattutto in quella caricaturale ed esasperata di Dafoe.

 

Sento dire spesso che la parte tecnica di un film dev’essere sempre a servizio della storia raccontata, altrimenti il rischio è quello di portare avanti dei semplici esercizi di stile. Mi trovo tendenzialmente d’accordo con questa cosa, motivo per cui preferisco Aster ad Eggers, però credo anche che i gusti siano gusti ed ogni artista abbia il diritto di essere diverso.
Eggers è un esteta, volontariamente o involontariamente, non lo sappiamo. L’estetismo è stata una corrente artistica, dove il bello veniva prima del buono e la forma prima del contenuto. L’estetismo moderno esiste, soprattutto nella letteratura. La domanda è: può esistere nel cinema? Possiamo giudicare un’opera come una grande opera solo perché è tecnicamente ottima? Oppure il significato è imprescindibile per un grande film?

Il Nosferatu di Eggers può essere l’esempio di una nuova corrente, possiamo giudicarlo tenendo conto di questo?

 

Per quanto mi riguarda, quando avrò voglia di rivedere Nosferatu, probabilmente non tornerò da Eggers.


Degustibus.

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