Regia di Robert Eggers vedi scheda film
A German Vampire Folktale
“Vieni da me! Ti sto chiamando”. Si apre così il “Nosferatu” luciferino di Robert Eggers, che firma il rifacimento sognato da una vita. Eppure, quello realizzato dall’ormai affermato regista di “The Witch” (2015), “The Lighthouse” (2019) e “The Northman” (2022) non è soltanto un remake del capolavoro espressionista tedesco del 1922, ma anche un ritorno alle origini del mito del vampiro, alle leggende della tradizione popolare, al folklore slavo e russo. La rilettura in chiave realistica delle figure mitologiche è il marchio di fabbrica del suo cinema: dopo la fiaba stregonesca, la ballata marinaresca e l’epica norrena, ora è la volta del nosferat romeno, il non-morto portatore di pestilenza.
L’invocazione iniziale della protagonista è già dichiarazione d’intenti: Nosferatu, il principe della notte, è un’entità da evocare religiosamente e a cui rivolgere preghiere. Sta qui la novità più radicale introdotta da Eggers: il conte Orlok – Dracula, per gli amici – è una divinità infernale che tutto vede e tutto può, un po’ angelo custode un po’ orco delle fiabe. Nella sequenza iniziale Ellen, giovane donna schiacciata dalle convenzioni sociali della borghesia primo-ottocentesca, invoca disperatamente aiuto fissando lo spettatore dritto negli occhi. Verrà ascoltata da una creatura lovecraftiana che lei stessa ha contribuito a ridestare dall’abisso oscuro in cui dimorava.
Eggers si rifà certamente ai “Nosferatu” di Murnau (1922) e di Herzog (1979) nella trama e nelle atmosfere, ma anche al “Dracula” di Coppola (1992) e al “Possession” di ?u?awski (1981) per la centralità del personaggio femminile e l’elemento della possessione. Infatti, non c’è dubbio che la protagonista assoluta sia qui proprio Ellen (una splendida, funerea e inquietante Lily Rose Depp) che – circondata da uomini che non la comprendono e non la appagano – flirta con l’occulto e dialoga con un arcano interlocutore in grado di ascoltarla, capirla e offrirle libertà di scelta: avrà tre notti a disposizione per decidere tra una vita sacrificata e una non-vita forse più autentica. Tornano subito alla mente “The Witch” e il bellissimo “February” di Oz Perkins (entrambi del 2015), racconti di formazione al contrario, nei quali la solitudine e il disagio delle giovani protagoniste trovavano conforto ed emancipazione tra le braccia di presenze sotterranee. E se in “The Witch” e “February” la figura dell’interlocutore misterioso rimaneva impalpabile, qui è al contrario molto concreta, accigliata, baffuta e ricoperta da piaghe purulente in una versione ultra-realistica del vampiro transilvano (che ricorda non poco il wurdalak interpretato da Boris Karloff nei “Tre volti della paura” di baviana memoria).
Inutile soffermarsi sull’aspetto tecnico: la forma è magistrale. Il film è sontuoso, impeccabile e fotografato egregiamente. D’altronde a Eggers che gli si può dire? Alcune sequenze sono già entrate di diritto nell’immaginario cinematografico vampiresco: l’arrivo di Thomas (Nicholas Hoult, perfetto dai tempi di “About a Boy”) al castello, la passeggiata di Ellen sulla spiaggia ricoperta di lapidi, l’apparizione del conte nella cameretta delle bambine, l’ombra della mano che si allunga sulla città e sul volto della protagonista. L’intreccio rispetta tutti i canoni del genere con qualche non trascurabile variazione sul tema e un pizzico di necrofilia in più. Ma lo spunto più interessante – velatamente presente nel romanzo di Stoker e già reso esplicito da Coppola nella sua versione – è sicuramente l’identificazione del conte con il desiderio femminile, la pulsione sessuale negata dalla società borghese e maschilista ottocentesca. Relegata nella sfera del proibito tanto da trasformarsi in impulso irrefrenabile, crisi isterica, frenesia occulta, rituale esoterico. Che nessun corpetto ormai può trattenere.
Nosferatu (2024): Lily-Rose Depp
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