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Nosferatu

Regia di Robert Eggers vedi scheda film

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La recensione su Nosferatu

di YellowBastard
7 stelle

Quarto film del regista di The Witch che, novello artefice barra paladino del nuovo horror americano (gloria meritata? Io qualche dubbio ce l’avrei ancora..), arriva dopo gli orrori ancestarli (lovecraftiani?) di The Lighthouse e i miti iper violenti delle leggende norrene in The Northman alla forma più archetipa del maleficio per eccellenza: il vampiro, il non-morto succhiatore di sangue e alle metafore, di natura sessuale ma anche psicologiche, che nel tempo si sono legate al mito.

 

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Nosferatu: la recensione del film di Robert Eggers - Movieplayer.it

 

La “Sinfonia del terrore”, come ne recita il sottotitolo, si lega strettamente al primo film di vampiri della storia (non è propriamente così ma delle precedenti pellicole, sempre legati al personaggio di Dracula,  si sono ormai perse le tracce), ovvero il Nosferatu del tedesco Friedrich Murnau, datato 1922, un libero adattamento del romanzo di Dracula uscito una ventina d’anni prima, che eliminava gli imbellettamenti vittoriani della storia di Stoker per sottolinearne invece la sua essenza di fiaba prettamente gotica.

Il Conte Dracula per questioni di copyright divenne quindi il Conte Orlok e si formula il termine Nosferatu, che richiama la parola rumena nesuferitu, ovvero “colui che offende”, avendo oltre sì spostato l’azione principale dall’Inghilterra alla Germania ma lasciando la storia pressoché inalterata.

Gli eredi dello scrittore, in primis la moglie, intentarono comunque una causa che, una volta vinta, portarono alla distruzione delle coppie esistenti, che vennero portate al macero per essere bruciate.

La Prana-Film, casa di produzione del film, fu costretta in seguito a dichiarare bancarotta in quanto obbligata a pagare la penale sui diritti d'autore.

Ma alcune copie si salvarono, si dice una appartenente allo stesso Murnau, che nascose, mentre altre finirono invece in America (non si sa quanto accidentalmente) dove non vi erano problemi per i diritti d’autore, e fu così che, ancora oggi, abbiamo uno dei film più fondativi della storia del cinema.

Un film di cui esiste già uno splendido remake del 1979 ad opera di Werner Herzog, con protagonisti Klaus Kinski, Isabelle Adjani e Bruno Ganz, che creava una versione del vampiro (o del Nosferatu) più esistenzialista.

 

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La storia, quindi, è tutt’altro che originale e ripercorre quella del romanzo di Bram Stoker, il primo popolarizzatore delle leggende e del folklore legate al vampirismo ravvisabili lungo tutto il continuum delle lingue romanze dell’Europa dell'est.

Il lungometraggio di Eggers riprende l’assenza di entrambe le pellicole (tanto e vero che nei crediti di scrittura compaiono i nomi di Henrik Galeen, autore della sceneggiatura del Nosferatu di Murnau, e dello stesso Bram Stoker) ma ci sono anche elementi presi dal Dracula dell’Universal come anche gli interni borghesi e gli abiti eleganti della gloriosa serie di Dracula della Hammer o ancora le suggestioni romantiche tra il vampiro e la sua preda del decadente Dracula di Coppola, oltre all’iconografia storica dei baffoni portati dal Conte.

 

Ma è utile ricordare che Stoker per il suo romanzo trasse ispirazione da una novella (Il vampiro) scritta da John Polidori, amico di Percy Bysshe e marito di Mary Shelley (Frankenstein), con l’intento di creare un alter ego di Lord Byron, libertino e uomo di cultura tra i più noti dell’Ottocento.

Ecco, quindi, che Il vampiro di Polidori diventa un’anima che trascende il tempo grazie alla sua (immoralità?) immortalità, bello e dannato oltre che con una carica sessuale irresistibile, detiene le conoscenze del mondo ma anche le sue più grevi oscurità.

È la rappresentazione del proibito e del peccato, che ci chiama e che ci ammalia con la sua sfrenata libertà da tutto e da tutti.

E da allora il vampiro è stato soprattutto questo, ma non lo era alle origini.

Eggers, da vero filologo, ritorna invece alle origini popolari del mito e alla fiaba, dove le streghe sono davvero spaventose, i mostri sono veramente creature orribili e i vampiri sono esseri disgustosi, replicando nell’aspetto esteriore la propria ignobile natura di cadavere in decomposizione.  

 

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Eggers mantiene comunque una forte connessione con il cinema espressionista tedesco, tra l’uso di inquadrature angolari, ombre e luci molto marcate e ambientazioni sospese nel tempo per un film di una potenza visiva non comune, grazie soprattutto alla fotografia di Jarin Blaschke, già candidato all’Oscar per The Lighthouse, sempre con Eggers, e a un contrasto netto tra luci e ombre che rievoca l’estetica espressionista dell’originale di Murnau.

 

Eggers rigetta però ogni tentativo di attualizzare la vicenda o di trovare nuove chiavi interpretative, rimando al contrario ben saldo all’interpretazione di Murnau e di Herzog per un’operazione che sembra voler confezionare il film “definitivo” sul vampiro, camminando quindi su un percorso ben delineato e andando ad aggiungere ben poco di quanto già definito da altri.

Un’opera che mischia gli stilemi dell’horror ad atmosfere più horny, dalla tragicità di una storia d’amore e di dipendenza tossica ai più recenti goth revival e al female rage per un film che punta soprattutto alle nuove generazioni.

 

Nosferatu è anche una successione (quasi) algoritmica di stereotipi, ogni fotogramma è un quadro ma, al di là della loro bellezza formale e/o estemporanea, non sorprendono affatto o, nonostante certe brutalità, non impressionano come dovrebbero.

Lo stile c’è, ed è persino sovraesposto, ma manca una certa visceralità, non si riesce mai ad avere un punto di vista originale e/o autoriale per un approccio sin troppo ossequioso nei confronti dei suoi predecessori e, proprio per questo, privo di una vera e propria anima.

Come il precedente The Northman, il Nosferatu di Eggers non è affatto un brutto film, sia chiaro, ma rimane vittima delle sue stesse, enormi, ambizioni e risulta incapace di rinnovare l’etica contenutistica del racconto di vampiri andando anche a confermare una certa inadeguatezza (!?) verso un mondo produttivo, quello ad alto budget, che rischia di schiacciarlo e/o bruciarlo fin troppo precocemente.

 

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Un po’ Christina Ricci e un po’ Isabelle Adjani, Lily-Rose Depp risulta perfetta per il ruolo assegnatole. Inquietante, tormentata e (spesso) indecifrabile, esprime magistralmente l’alterità femminile e, impegnata in un ruolo difficilissimo, fisicamente quanto idealmente, riesce comunque a cavarsela egregiamente.

L’ex bimbo prodigio di About a Boy e poi teenager maledetto in Skins, apprezzatissimo (!?) nel recente Giurato numero 2 di Clint Eastwood, Nicholas Hoult sta vivendo il suo momento magico (lo vedremo anche nel Superman di James Gunn nel ruolo di Lex Luthor) e convince anche nel ruolo del malcapitato avvocato Hutter.

 

Dopo essere stato Pennywise in It e nel recentissimo (e sfortunatissimo) remake di Il Corvo, Bill Skarsgard, attore svedese figlio del grande Stellan Skarsgard, si conferma particolarmente a suo agio sotto il trucco prospettico del vampiro, per un lavoro soprattutto vocale e di forma.

Totalmente con il pilota automatico invece l’ormai inseparabile Willem Dafoe nel ruolo di un "Van Helsing" tutto istrionismo ed eccessi, costantemente sopra le righe.

Completano poi il cast l'ingessato Aaron Taylor-Johnson, l'elegante e (ahimè) inerme Emma Corrin, l'austero Ralph Ineson e il febbricitante Simon McBurney.

 

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VOTO: 7

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