Regia di Brady Corbet vedi scheda film
The Brutalist (2024): Adrien Brody
Tre ore e mezza anche no. Soprattutto alla luce di tante svolte narrative bruciate in fretta eccessiva, dopo l’essersi soffermati invece - specie nel primo tempo - su una miriade di visioni e chiacchiericci superflui.
The Brutalist (dalla corrente brutalista, che esalta la ruvidezza e l’essenzialità del cemento armato), celebra il sogno americano cui si aggrappa il creativo e smodato architetto ungherese Lazslo Toth (sopravvissuto alle angherie naziste, bisognoso di certezze, ma schiavo anche di contraddizioni e debolezze), per far esplodere il suo guizzo artistoide e avveniristico, comunque ben delineato ancor prima della guerra.
La parentesi lugubre e claustrofobica dei campi di sterminio ne esalta ancor più genio e sregolatezza, rappresentate dall’incontro con lo schizofrenico, bipolare e anche abietto mecenate che gli permetterà e negherà, a corrente alternata, ogni ghiribizzo artistico possibile.
Attorno a questo nodo principe si aggiunge la faticosa e vincolante fede ebrea, l’essere straniero e per di più ribaltatore di canoni ben radicati, nonostante un’America, per altri versi, apertissima e pronta a rivoluzioni epocali; non ultimo il ricongiungimento familiare con moglie malata ma non rassegnata a ruolo secondario, e nipote enigmatica.
Il secondo tempo scorre anche fin troppo veloce (forse anche grazie all’intervallo obbligatorio che permette rilassanti svuotamenti di vescica), intersecando anche fugaci forward magari più proficui a certe fasi di stanca del primo tempo.
La chiave architettonica del film, alla fine, non riesce ad ergersi protagonista quanto la brutalità con la quale la vita tratta Lazslo, che si esalterà solo col monumentale impianto che cerca il compromesso a tutte le contrarietà che ostacolano l’opera diventando ossessione di vita.
Anche la fotografia, che spesso si esalta nel grigio e spigoloso brutalismo, ogni tanto inceppa un colpo: tanto evocativo il paesaggio marmoreo carrarese, quanto patinato ed elementare l’epilogo veneziano. Efficacissima invece la cornice musicale a sottolineare con ritmo e incisività diversi momenti chiave.
Tutto sommato un film che non può far gridare al miracolo, dove il solo Adrien Brody se la canta in lungo e in largo, indulgendo magari a qualche solfa melodrammatica di troppo..
The Brutalist (2024): Adrien Brody, Alessandro Nivola
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