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The Brutalist

Regia di Brady Corbet vedi scheda film

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La recensione su The Brutalist

di IlCinefilorosso
6 stelle

The Brutalist, terza maestosa opera di Brady Corbet girata in pellicola VistaVision 35mm, narra la storia di László Toth, un architetto di fama internazionale sopravvissuto ai campi di sterminio, che nel secondo dopoguerra emigra negli Stati Uniti in cerca di fortuna. Qui, tenta di ricostruirsi una vita e realizzare un imponente complesso architettonico multifunzionale per un magnate della Pennsylvania, Harrison Lee Van Buren.

 

Il problema principale di The Brutalist risiede nell'incapacità di coniugare il suo stile visivo e stilistico con una narrazione convincente. Questo squilibrio rende il film eccessivamente pesante e inutilmente complesso, poiché i suoi temi risultano superficiali e poco originali — un ennesimo discorso disilluso sul sogno americano, come suggerisce la simbolica inquadratura rovesciata della Statua della Libertà all'inizio del film.

Con una durata di 215 minuti, The Brutalist ambisce a trattare molteplici argomenti, ma finisce per accumularli in modo incoerente, senza costruire un discorso chiaro e coeso.

 

È importante sottolineare che il film si presenta formalmente solido, imponente e massiccio, in linea con le caratteristiche dell'architettura brutalista, utilizzando frequenti contre-plongée e grandangoli per enfatizzare spazi e strutture. Tuttavia, gli elementi narrativi sono esposti in modo chiaro e prevedibile, privi di sorprese o colpi di scena.

I dialoghi, espliciti e a tratti ridondanti, non arricchiscono né i personaggi né la storia, risultando spesso superflui.

Ciò che manca al film, considerato il suo approccio narrativo lineare e classico, è un'onestà e genuinità di intenti.

 

Drammaturgicamente, sebbene The Brutalist presenti sequenze di grande pregio (come quella nelle cave di Carrara), non riesce a produrre risultati significativi né a livello teorico né pratico.

L'impressione è che il valore del film risieda quasi esclusivamente nella monumentale interpretazione di Adrien Brody e nella bellissima partitura sonora di Blumberg , mentre la narrazione si concentra troppo sulla destinazione finale, penalizzando lo sviluppo dei personaggi e l'intensità della storia. Il film sembra aspirare ai modelli dei grandi racconti cinematografici americani (qualcuno ha detto Paul Thomas Anderson?), senza però raggiungerne l'intensità e la profondità. Evita di mettersi in discussione e affrontare contraddizioni interne, limitandosi a esplorare vagamente le ambiguità psicologiche senza mai realmente sfidarsi, e senza offrire qualcosa di inquietante o perturbante.

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Ultimi commenti

  1. obyone
    di obyone

    Sulla presunta superficialità e scarsa originalità del tema mi permetto di dissentire. Anzi ho trovato affascinante il percorso dell'artista che mescola nel calcestruzzo la propria sensibilità e la propria esperienza di sopravvissuto per dare genesi ad un'opera che nasconde significati ben più profondi di quelli percepiti nella destinazione d'uso del committente. Per il resto, invece, si può effettivamente discutere. Certi passaggi non sono chiarissimi e la sviolinata finale nei confronti della Biennale superflua.
    Un saluto
    Roberto

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