Regia di Brady Corbet vedi scheda film
Il brutalismo dell'arte generata dalla brutalità dell'uomo.
Forse le 20:30 non era il migliore degli orari per un film di 3 ore e 35 minuti al cinema, se contiamo 15 minuti di trailer e pubblicità prima dell’inizio e altri 15 minuti di intervallo. Quindi uscire alle 00:15 da una sala abbastanza piena, al caldo e con l’aria consumata è stata bella dura. Perlomeno il regista Brady Corbet sapeva della mattonità del film e ha pensato bene di metterci un disclaimer scritto all’inizio per tranquillizzare il pubblico e una bella foto con tanto di timer e un pezzo suonato al pianoforte per l’intervallo.
The Brutalist (2024): locandina
Detto questo, il suo THE BRUTALIST con Adrien Brody, Felicity Jones e Guy Pierce è veramente monumentale. Da una regia molto curata, pulita, con inquadrature che risaltano molto gli spazi larghi e stretti, a volte fisse, movimenti di macchina lenti e che seguono il personaggio in questione con dei piani sequenza notevoli, non mancando delle particolarità sostanziose come la Statua della Libertà al rovescio, una musica e un sonoro solenni che cambiano di tonalità e moda a seconda del periodo storico, una fotografia che cambia in base al paesaggio e alle situazioni: fredda e austera nei momenti tristi, stressanti e controversi, al caldo e avvolgente in quelli più felici, rincuoranti e più rilassati. Ottima la ricostruzione storica, le scenografie degli edifici e di Carrara. Un montaggio niente male che tiene bene il ritmo degli eventi. Inoltre l’utilizzo dei titoli di testa e di coda hanno un movimento e uno stile del tutto brutalista. In un certo senso, tutta la regia e la messinscena sono brutaliste. Attori meravigliosi, Adrien Brody al solito molto calato, con la faccia e il naso giusto, idem per Felicity Jones e un Guy Pierce a dir poco sorprendente. L’uso dell’accento ungherese, specie nel doppiaggio italiano, forse risulta delle volte troppo marcato, ma è solo una questione d’allenamento per l’orecchio.
The Brutalist (2024): scena
La storia è tanto semplice quanto profonda. Laszlo Toth, un immigrato ungherese ebreo, fugge in America dagli orrori dell’Olocausto. Separato dalla moglie Erzsebet e dalla nipote Zsofia, trova lavoro da suo cugino Attila come arredatore a Philadelphia. Essendo un architetto coi controcazzi, trovano un’opportunità quando dovranno ristrutturare uno studiolo per conto di un ricco mecenate. Le cose non andranno come previsto e, dopo delle ingiustizie molto contorte, Laszlo si separerà dal cugino. Passato del tempo il mecenate Harrison Van Buren lo rintraccia e lo incaricherà per costruire un enorme ed imponente edificio in memoria della madre. Tra materiali, lavoro, imprevisti, riunioni familiari, viaggi di lavoro, crudeltà, intrallazzi e controversie ambigue, Laszlo raggiungerà la sua destinazione artistica e umana nel giro di circa trent’anni.
The Brutalist (2024): Adrien Brody
In pratica è il sogno americano vissuto nell’incubo degli immigrati. Un’America costruita non solo nel sangue, ma anche nella cultura e il duro lavoro degli immigrati. Un chiaro esempio di come gli Americani, vedendo la parte nella valle di Carrara, non hanno cultura, storia e arte se non quelle “prese in prestito” da altri continenti e popoli. Di come il capitalismo non sia altro che un gentile oppressore che consuma tutto ciò che tocca e di come sia solo un’illusione verso chi cerca la libertà scappando da una prigione stretta, ma solo per raggiungerne una molto più larga. Non a caso tale capitalismo getterà la maschera più volte rivelando una facciata xenofoba, razzista, sfruttatrice, violenta ed egoista. Con personaggi pieni di luci molto intense e monumentali ed ombre molto tetre e viscide dove non ci si risparmia in droga, alcool, abusi, violenze. Ma che solo l’arte, in questo caso brutalista, riesce a rimanere intatta e incontaminata dalla brutalità del tempo e della storia. Anche se tale destinazione, così monumentale e meravigliosa, ha un tragitto arduo, insidioso, pieno di filo spinato e tizzoni ardenti. Tutto ciò percorso a piedi nudi e in salita…
The Brutalist (2024): Guy Pearce
The Brutalist (2024): Adrien Brody, Felicity Jones
Magari è solo l’impressione della prima visione e della durata, ma forse alcune parti insieme alla moglie nella seconda parte, per quanto piene di spessore, avrebbero raggiunto il punto lo stesso se accorciate di un quarto d’ora.
Comunque, per un film praticamente autoprodotto da Brady Corbet con neanche 10 milioni di dollari, è un risultato veramente colossale che non credo avrà molto da invidiare ad altri kolossal costati dieci volte tanto…
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Direi anch'io che il film imita il brutalismo architettonico.
"l'accento ungherese nel doppiaggio italiano forse troppo marcato" rende l'intera recensione spettacolare!!
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