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The Brutalist

Regia di Brady Corbet vedi scheda film

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La recensione su The Brutalist

di paolo23Cine
6 stelle

The brutalist è un film complesso e ovviamente porta a farsi tante domande. Non essendo in grado di dare a tutte una risposta ho cercato spiegazioni nelle analisi di chi di cinema scrive e, visto la componente storica trattata nel film ho cercato spiegazioni in chi invece scrive di politica. Per fortuna, dopo alcuni mesi dall'uscita nelle sale estere ed ora italiane dopo il successo di settembre 2024 a Venezia, in rete si trovano moltissime analisi e diversamente articolate.

La domanda che più mi ha assillato è stata il come ed il perché il giovane 36 enne regista Brady Corbet (da ben 23 anni nel mondo del cinema in cui è stato attore in Europa lavorando con Michael Haneke (Funny Games), Lars Von Trier (Melancholia), Olivier Assayas (Clouds of Sils Maria) and Ruben Ostlund (Force Majeure). Il suo primo film come regista The Childhood of a Leader del 2015 lo ha realizzato in Ungheria dove ha vissuto parecchi anni, nazione da cui proviene l’architetto immaginario creato per questo The brutalist ), come e perchè ha realizzato un finto biotopic cercando di non tradire troppo la storia degli immigrati ebrei negli USA con i loro traumi facendoli però diventare universali.

La migliore risposta l'ho trovata in questo articolo di Emma Jones per la BBC in cui si aprono numerosi link con approfondimenti critici fatti da architetti, interviste rilasciate dal regista, biografie della sua famiglia, storie di antisemitismo americano a partire dal discorso di Lindeberg del 1941e molto altro.

 

https://www.bbc.com/culture/article/20250206-the-brutalist-brady-corbet-and-adrien-brody-on-ww2-jewish-experience-in-the-us

 

Mi viene chiarito in un articolo pubblicato sul Guardian da Oliwer Wainwright che la figura dell’architetto è stata ispirata alla vita ed al lavoro dell’architetto ungherese ebreo Marcel Breuer , tra i fondatori della Bauhouse a Weimar cui è stata commissionata da Abbot Baldwin nel 1950 la realizzazione della Saint John's Abbey Church per conto dei monaci Benedettini. Edificio a cui come nel film si sono volute connesse un auditorio, una biblioteca ed una fondazione. Brauer arrivò negli USA con i suoi contemporanei Walter Gropius e Mies van der Rohe nel 1937, dopo essere stato 4 anni in Inghilterra, e non dopo l’olocausto. Non dovette soffrire di discriminazioni e umiliazioni per fare il suo lavoro, fece una carriera di successo e collaborò con le migliori università. Corbet sa bene tutto ciò si è ben documentato ed ha consultato il libro di Jean-Luis Cohen vera autorità della storia dell’architettura in quel periodo.

 

Tra i link c’è una bella intervista del 9 settembre 24 pubblicata sul The Hollywood reporter da Patrick Brzeski e tra le tante cose ricorda come una delle missioni che si prefisse Donald Trump alla prima elezione era di abbattere tutti gli edifici brutalisti in Washington DC sostituendoli con architetture neoclassiche (vedremo se lo farà ora che è stato rieletto). Corbet afferma che se si analizzano in una prospettiva storica i piani di Trump si scopre che il suo concetto di architettura è vicino a quello di Hitler nella sua relazione con Albert Speer (soprannominato “architetto del diavolo”).

Corbet afferma che il suo film vuole contestualizzare come la psicologia del dopo guerra abbia sagomato l’architettura del dopoguerra. I materiali per le costruzioni sono stati sviluppati nel periodo della guerra ed il trauma si riflette negli edifici. Ad una domanda sulla costruzione narrativa del film risponde che a lui piace spiazzare lo spettatore, farlo uscire dalla “confort zone”. Il film è diviso in due parti, la prima ottimistica e la seconda che vira in una tragedia greca. La discesa negli abissi l’ha voluta ambientare nelle montagna o meglio nelle cave di Carrara. Un luogo disturbante dove in apparenza c’è marmo per i prossimi 500 anni, per fare rivestimenti dei bagni, suppellettili edifici o arte. Ma pensandoci bene non sono molto tempo e così per il regista Carrara indica come il capitalismo ha morsicato la terra e da qui la metafora di come la produzione capitalista si appropria degli artisti sfruttandoli.

A cascata seguono i ragionamenti sul suo volere essere indipendente e affrontare la sfida di realizzare un film con soli 10 milioni di euro, senza vincoli commerciali imposti dai produttori .

Afferma che si può scrivere una canzone in una camera da letto ma non si può realizzare un film. I costi sono elevati ed i tempi dilatati, per questo film ci sono voluti 7 anni di lavoro per lui e sua moglie, un progetto per la vita che volevamo realizzare in pace senza pressioni e per fortuna hanno avuto un team molto collaborativo. Conclude la sua intervista dichiarando che nonostante il suo film sia per metà ricco di ottimismo e per l’altra metà cinico, si augura che si percepisca un cuore di speranza per il futuro migliore.

 

Personalmente il film mi ha impressionato per la fotografia, la musica e la regia, meno per la sceneggiatura scritta a quattro mani con la moglie svedese, anche lei attrice e filmmaker Mona Fastvold . Mi sono piaciute molto le scene dedicate al lavoro, ai macchinari, agli attrezzi, ai cantieri, alle cave, alle fonderie. Scene costruite ma anche frutto di scavo di archivio, le dimensioni dello schermo senza soluzione di continuità passano dal 70mm ai 4/3 dandogli la forma del documentario. Sono ben girati Il lavoro degli uomini, la materia, il realizzarsi dell'opera le sfide e gli incidenti che hanno causato il fermo temporaneo. Viene ben evidenziato che la preoccupazione dei magnati per i disastri causati dal tentativo di risparmiare sui costi non è per le vite umane a rischio ma per lo scandalo mediatico la preoccupazione per i rimborsi delle assicurazioni. Ho trovato molto cinematografica ed evocativa la scena del carico dei materiali sul treno col loro peso che fa avvicinare il vagone alle rotaie , poi in primo piano la soggettiva sullo scorrere dei binari il levarsi del fumo della ciminiera della locomotiva e poi l'incendio in campo lungo ad evocazione delle deportazioni nelle fabbriche della morte.

 

Nel film Erzsébet (Felicity Jones) la moglie di László Toth (uno straordinario Adrien Brody) gli ricorda più volte che per i miliardari realizzare opere è come cambiare le piastrelle in bagno. Possono creare lavoro o distruggere, licenziare manovalanze assecondando i loro capricci. Ho visto il film doppiato e non in lingua originale e così ho avuto modo di leggere sullo schermo i numerosi commenti storici affidati alle voci di cronache radiofoniche o notiziari. Primo fra tutti la storia della nascita dello stato di Israele raccontata mentre sullo schermo le scintille dell’acciaio dei cantieri si liberavano sul volto di Adrien Brody fermato dall’immagine manifesto del film . Altra icona è l’immagine della statua della libertà inclinata quasi rovesciata, come i titoli di coda che scorrono diagonalmente nel finale.

 

6 febbraio 2025 il film esce nelle sale italiane e Mr Trump l'immobiliarista che vuole fare una riviera per ricchi sulle macerie di Gaza, regala a Netanyahu la sua amicizia ed un cercapersone placcato d'oro, licenzia i dipendenti di USAID e tenta di smantellare il diritto internazionale.

Buona visione Paolo Rizzi

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Ultimi commenti

  1. obyone
    di obyone

    Mi hai fatto tornare alla mente il treno con il suo significato allegorico. Solo questo vale l'utilità. Che Trump voglia trasformare Washington non mi sorprende. E che la voglia neoclassica ancora meno. Ma per essere ottimisti, poiché questa notizia mi ha lasciato fintamente di stucco, ricordo che Speer alla fine non fece nulla di quello che sperava. Grazie delle informazioni e del link

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