Regia di Brady Corbet vedi scheda film
Quando ho scoperto che The Brutalist è stato girato interamente in formato VistaVision, le mie aspettative sono salite alle stelle. Non perché l’ultimo film girato in questo modo risale al ‘61, ma perché è lo stesso formato che Hitchcock ha usato per alcuni dei suoi capolavori, tra cui Vertigo e Caccia al Ladro (mica pizza e fichi).
Da amante del regista paciarotto inglese, solo il pensiero di rivedere quei colori abbinati alla grana della pellicola 70 mm (grazie Arcadia), ha scatenato in me una nostalgia indescrivibile.
Senza contare il fatto che girare il film in questo modo ha contribuito a creare l’atmosfera perfetta per raccontare una storia come quella di László Tóth (per chi se lo chiedesse: no, non è il László Tóth che ha preso a martellate la Pietà di Michelangelo).
Tutto questo per dire che dal punto di vista estetico le mie aspettative sono state confermate. Che bellezza.
Il nostro László è un architetto ungherese che, dopo essere scappato dal campo di concentramento di Buchenwald, emigra in America per rifarsi una vita.
Dopo un primo impatto da dimenticare, il suo talento viene scoperto da Harrison Lee Van Buren, (personaggio neanche troppo velatamente ispirato a Citizen Kane).
Van Buren gli commissiona un grosso progetto (anche qui torniamo a Xanadu), che andrà realizzato in stile brutalista.
Da definizione Treccani: “il brutalismo è un movimento architettonico che [...] rivaluta le esigenze funzionali, predilige alcuni tipi di materiali rustici (calcestruzzo, mattoni, ecc.) ed esibisce volutamente gli elementi tecnici e strutturali della costruzione”.
Lo stile brutalista è diretto, niente orpelli e cazzate varie, va dritto al punto. Anche László è così. Niente giri di parole. Se deve dire qualcosa lo dice, anche a costo di offendere un Jim Simpson qualunque. L’importante non è il viaggio ma l’arrivo.
Così l’idea diventa progetto ed il progetto un cantiere. Arrivano i problemi ma si va avanti. Arrivano la moglie Erzsébet e la nipote Zsófia ma si va avanti. Tutto il resto è secondario. László non è disposto a scendere a compromessi anche a costo di rimetterci personalmente, sia dal punto di vista economico che sentimentale. La sua vita è dedicata all’architettura. Vuole vedere la sua idea diventare realtà.
Ci riuscirà solo dopo aver fallito più volte, solo dopo aver capito che il sogno americano non è per lui. Il suo sogno è limitato da quello di chi è più in alto di lui, un confine che non potrà superare. Resterà con Erzsébet, a cui (si scoprirà nell’epilogo) è dedicato il profondo significato della sua opera.
Adrien Brody è eccezionale (sento puzza di Oscar), così come tutto il cast.
La colonna sonora di Daniel Blumberg rispecchia il tono epico della pellicola e lo fa girando intorno a quattro note chiave.
The Brutalist non è un film perfetto, la seconda parte forse va troppo di fretta, ma va bene così. Anche perché stiamo parlando di un regista che ha solo 36 anni. Brady Corbet ha dimostrato che il cinema indipendente può ancora dire la sua. Con un budget di soli 10 milioni ha creato un dramma epico che non ha niente da invidiare all’altro architetto visionario del 2024. Buona pace per Coppola ed i suoi 120 milioni.
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