Regia di Brady Corbet vedi scheda film
"The Brutalist" è l'opera terza di Brady Corbet, regista per me finora ignoto, è un film di grandi ambizioni, un film-fiume di tre ore e mezza abbondanti alla maniera dell'ultimo Scorsese, un romanzo per immagini che rilegge in maniera cupissima il Sogno Americano, che qui si trasforma in un incubo funesto che nella parte finale assume tinte da "horror della mente", anche se il regista concede un epilogo di vaga evasione dalla disgregazione psicofisica a cui si era giunti nel sottofinale.
La storia, naturalmente fittizia, di tale architetto ungherese Laszlo Toth, che nel dopoguerra arriva in America accolto da un cugino, cerca di trovare senza successo una propria strada finché si imbatte in un aristocratico per cui viene commissionata una biblioteca privata e che, colpito dal suo talento, gli commissionerà in seguito la costruzione di un centro polifunzionale a Philadelphia, mentre Laszlo aspetta una moglie e una nipote dall'Ungheria che finalmente arrivano, anche se molte cose andranno diversamente da quanto previsto. Il film è un'epopea appassionata che vuole mostrare la vanità delle imprese umane quando non siano accompagnate da un equilibrio personale che viene indicato soprattutto nella Famiglia, qui messa a dura prova da problematiche di vario tipo, ma prima dalla lontananza forzata dovuta alla guerra, poi dalla malattia fisica e mentale.
Giusto il paragone che è stato fatto da una parte della critica con "There will be Blood" di P.T. Anderson, sia per le tematiche che per la grandeur della messa in scena, con un Corbet che si sforza costantemente di conferire una forma estremamente cinematografica alle immagini, un dinamismo quasi perpetuo, uno spettacolo che riesce a conferire nuova linfa a soluzioni visive ormai perfino desuete come il montaggio alternato, sempre tenendo al centro dell'opera la presenza dell'attore e il suo contributo anche creativo. Un film così lungo ed elaborato si avvale di una scrittura minuziosa, con una sceneggiatura firmata dallo stesso Corbet e dalla compagna Mona Fastvold che caratterizza con ricchezza di chiaroscuri i personaggi, in particolare l'architetto brutalista che sembra destinato ad un percorso di espiazione dopo essere scampato al Lager e rimane intrappolato nelle proposte lavorative del ricco Van Buren che lo porteranno alla perdita di sé stesso. Molto interessanti nella caratterizzazione anche i personaggi della moglie Erszbeth, di Van Buren della nipote Zsofia, ma qui si apre una necessaria parentesi sugli attori, il cui lavoro è fondamentale per la riuscita del film. Adrien Brody trova qui il migliore ruolo della carriera insieme a quello del Pianista di Polanski, vincerà molto probabilmente un secondo Oscar con una performance di forte risalto drammatico e di notevole scavo psicologico nella devastazione spirituale di Laszlo. Al suo fianco un eccezionale Guy Pearce nella parte terribile del ricco mecenate che si trasforma in torturatore, resa con una potenza espressiva che strappa l'applauso, un'ottima Felicity Jones nella parte della moglie (grandiosa quando si presenta ad accusare il riccone), e tra i caratteristi da elogiare almeno Joe Alwyn nella parte del figlio di Van Buren.
Un film non privo di alcuni difetti come alcuni momenti di raccordo non risolti perfettamente o alcune scene "italiane" tendenti troppo allo stereotipo un po' abusato, ma nel complesso opera stimolante, affascinante, uno dei pochi film degli ultimi anni pensato e girato in grande su un argomento che non si direbbe affatto commerciale e con una padronanza stilistica che fa pensare al Leone dei tempi migliori. Chapeau Brad!
Voto 9/10
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