Regia di April Mullen vedi scheda film
Operetta canadese che riassume (male), ripete (pedissequamente) e prova a reinterpretare (maldestramente) altri 1000 film sullo stesso tema. Abbiamo già i cani robot militari per le strade, che di certo non servono a contrastare la criminalità indotta dagli stessi governi, e di sicuro non abbiamo bisogno di commuoverci per i poveri robot.
Qualcuno ha mai visto, per caso, un film canadese degno di nota? Se sì, battete un colpo. Pur essendo un popolo ibrido anglo-francese, con forti influenze statunitensi, quello canadese non pare aver ereditato alcuna attitudine alla cinematografia, da alcun retaggio o influsso culturale. Come e perchè rimane un mistero. Fatto sta che pure i pochi attori canadesi di successo, il successo lo hanno conseguito in USA. Certo non si dica che ciò dipenda da una scarsità di mezzi, perchè il cinema italiano, che di mezzi ne ha sempre avuti pochissimi, ha regalato capolavori mondiali che in realtà stanno al cinema a stellestrisce come la Ferrari alla Ford.
Torniamo, però, ai nostri simulanti: l'incipit è interessante, benchè non originale. Il primo colpo di scena, però, è già talmente telefonato da far domandare se per caso non si tratti del film che abbiamo visto l'anno scors... ah, no: questo è nuovo! Ok, però sembrava proprio quell'altro! E, così, tra un "colpo di scena" copiato da circa un centinaio di altre opere, un androide che aspira a diventare umano e la solita vecchia storia degli umani che proprio non ne vogliono sapere di abdicare a favore del silicio... si dipanano le avventure e disavventure dei nostri.
Esteticamente riceviamo suggestioni visive interessanti e curate, benchè in molti dettagli emerga il basso budget dell'opera, con l'effetto di far storcere il naso a chi noti l'incongruenza tra la presenza di androidi tanto sofisticati e l'uso di auto di servizio vecchie di decenni, o "divise" alquanto datate e trasandate.
La contraddittorietà si impossessa ben presto della visione, con un continuo cambio di prospettiva, che risulta difficile da comprendere, anche perchè, se è vero che assistiamo a scene già viste altrove, è pur vero che ci mancano i retroscena dei personaggi, e in particolare del "buono", di cui ascoltiamo per 3 secondi in tv un accenno alla fine del film. Decisamente troppo poco e troppo tardi.
Ma la contraddittorietà sembra affliggere fatalmente la regista, che sembra un'equilibrista tra la tesi umanista e quella androidiana: forse ci vuole dire che ci sono persone buone, persone cattive, e, mutatis mutandis, robot buoni e robot cattivi? Se così fosse, si tratterebbe di una morale assai approssimativa e cerchiobottista, peraltro privata in radice di qualsiasi spessore argomentativo: come e perchè si dovrebbe addivenire a una tesi anzichè a quella opposta? Non è dato saperlo!
Certo è che, nella misura in cui il mantra dell'opera sembra essere quello della "coesistenza", non possiamo che condannarne la morale: gli androidi sono uno strumento di oppressione dell'umanità e presto sarà evidente a tutti, anche se verremo come sempre etichettati di complottismo nell'affermarlo. Mentre i cani robot militari già si affacciano sulle nostre strade, e le persone perdono il lavoro a causa dell'IA, continuiamo a rivolgerci in massa a questi stupidi sistemi per precluderci non soltanto ogni speranza di consapevolezza e di informazione corretta, ma, soprattutto, per addestrarli a sostituirci. L'umanizzazione delle macchine, così come degli alieni, è ormai un capolavoro mediatico consolidato da decenni, per addestrarci ad additare, dopodomani, quelli rei di "discriminare" le macchine, proprio come oggi additano quelli "rei" di dire che l'omosessualità è una parafilia, e domani additeranno quelli "rei" di affermare che la pedofilia è anch'essa una parafilia. Così, mentre, passo dopo passo, sdoganano qualsiasi tabù, usando l'umanità come cane da guardia di se stessa, noi ci rintaniamo nei nostri divani a pontificare di "malato è bello", "grasso è bello", "omo è bello", "robot è bello", e così via. Nemmeno ci accorgiamo che la vera discriminazione alberga in coloro che, come presupposto dell'accettazione del diverso, pongono l'omologazione e/o l'accettazione. In realtà, rispettoso e tollerante non è colui il quale apprezza, oppure non vede il difetto dell'altro o la diversità, bensì, semmai, chi, pur vedendo la diversità e/o il difetto, non discrimina e riconosce pari dignità e diritti. D'altronde, chi ricorre alla violenza morale, verbale e perfino fisica illudendosi di perorare un ideale di rispetto, sta certamente perorando l'ideale sbagliato, posto che non può esistere rispetto se esiste violenza di intenti o di azioni.
Insomma, questo film ci sembra una scimmiottatura per nulla riuscita di n opere precedenti, con una confuzione esistenziale di fondo che non permette allo spettatore di seguire alcuna traccia, e insinuando più di un sospetto che la morale voglia osannare macchine ribelli, assassine e violente.
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