Regia di Cristina Comencini vedi scheda film
Irene, anziana benestante, vive sola in una ricca villa; nel giorno della comunione di sua nipote Chiara, i tre figli si riuniscono con la madre. Esplodono tensioni e vecchi dissapori tenuti a lungo a tacere.
Una donna ha tre figli: una è malmaritata (quella del trio messa meglio, peraltro), uno è gay (in ambiente prepotentemente omofobo) e la terza è una quarantenne sovrastata dalle nevrosi (cioè Margherita Buy, ça va sans dire): se non è sfiga questa... Se non lo è, è un film di Ozpetek, concluderete voi: sbagliato, è la Comencini, per la precisione Cristina. La secondogenita del grande Luigi ha in mente poche e modestissime cose per il suo settimo lungometraggio, scritto assieme a Giulia Calenda e Lucilla Schiaffino: Il più bel giorno della mia vita è l'ennesimo ritratto agrodolce (ma fin troppo dolce e troppo poco agro) di una famiglia borghese italiana, con tutte le sue contraddizioni e gli inevitabili problemi strutturali. I risibili, castissimi baci fra Marco Quaglia e Luigi Lo Cascio - e qui si vede che Ozpetek non c'entra: il turco avrebbe imposto molta più lingua - sintetizzano alla perfezione la grigia falsità che permea il racconto, un concentrato di luoghi comuni e di scene già viste da far rabbrividire per la vergogna anche lo spettatore meno esigente. Da segnalare che i baci - e le ulteriori effusioni - etero sono girati normalmente, invece: perplessità a iosa, l'effetto boomerang irrompe nel film. Nel cast, oltre agli interpreti già citati: Virna Lisi, Sandra Ceccarelli, Ricky Tognazzi, Marco Baliani, Francesco Scianna; nonostante i buoni collaboratori tecnici (fotografia: Fabio Cianchetti; scene: Paola Comencini; musiche: Franco Piersanti), la confezione del lavoro pare abbastanza approssimativa; e dire che la regista veniva dal positivo risultato ottenuto con Liberate i pesci! (2000). Il Nastro d'argento alla Buy, alla Lisi e alla Ceccarelli, infine, ci può anche stare tutto; quello alla sceneggiatura lascia invece oltremodo perplessi. 2,5/10.
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