Regia di Woody Allen vedi scheda film
Girato interamente a Parigi, in lingua francese e presentato a Venezia, quest’anno, fuori concorso, fra applausi e polemiche.
La gloriosa carriera di Woody Allen forse sta per concludersi, o forse no, come in molti speriamo, convinti che il quasi novantenne regista possa ancora offrire al pubblico importanti spunti di riflessione sulle nostre contraddizioni, impegnati come siamo a interrogarci sull’inafferrabilità del senso del vivere, e spiazzati come siamo dai cambiamenti veloci e dal desiderio di riavvolgere il filo dei ricordi degli anni giovanili, delle speranze senza oggetto, dell’amore e della poesia.
Il film è stato girato in esilio per il noto accanimento giustizialista contro di lui, che accomuna vecchi rancori familiari, processi fuori tempo massimo e l’immancabile beghinaggio moralistico del Me-too, che anche a Venezia si è fatto sentire, contrapponendo al vecchio artista gracile e tremante le vecchie storie che ormai gli impediscono di trovare finanziatori in patria (la produzione è britannica).
Eppure il cuore di Woody è ancora nella sua Manhattan, in quei luoghi fra Brooklyn e il Central Park, ancora presenti nel 2018 (Un giorno di pioggia a NewYork), in quella metropoli fascinosa e crudele che abbiamo amato grazie al suo cinema, che si è progressivamente arricchito di altre suggestioni.
Dall’America all’Europa, dagli autori – talvolta sceneggiatori – dell’ebraismo yiddish, alle meditazioni filosofiche su Kant e Dostojewski – imprescindibili compagni di riuscitissimi film, Woody ha portato tutti noi ad amare la sua inconfondibile narrazione leggera e ironica del presente, sferzante ma piena di grazia.
Ora, dopo 50 anni dedicati al cinema e al proprio cinquantesimo film, Woody è tornato a girare nella sua amata Parigi, col prezioso aiuto del suo fotografo Vittorio Storaro, accompagnato dal suo amatissimo jazz, avvalendosi di un cast di importanti attori francesi, per raccontarci una storia amara, terribile e, insieme, amabile.
La vicenda del film si incentra sulla crudeltà di un uomo ricchissimo, Jean Fournier (Melvil Poupaud) di cui poco si conosce – non si sa che lavoro faccia di preciso (sostiene di aiutare i ricchi a diventare più ricchi); si sospetta che abbia avuto un ruolo attivo nel suicidio di un rivale in affari – che non si priva del piacere di esibire i suoi trofei: il il lusso e la bellissima e giovane moglie, Fanny Moreau (Lou de Laâge) di madre americana e di padre francese, che lavora per una casa d’aste.
La coppia è all’apparenza affiatata: Fanny ama suo marito – soprattutto gli è grata per averla salvata, con la sua corte affettuosa, dalla depressione conseguente alla fine del suo primo matrimonio – Jean non potrebbe fare a meno del suo candore limpido, della sua fedeltà trasparente…
Il primo “coup de chance” ovvero il ruolo del caso
A turbare l’idillio all’improvviso compare casualmente, del tutto inatteso, qualcuno. È Alain (Niels Schneider), un vecchio compagno di liceo a NewYork, che incontra Fanny dopo tanti anni e tanta lontananza. La riconosce e la sconvolge, avendole confessato il proprio antico innamoramento per lei.
Alain fa lo scrittore: è a Parigi dove sta scrivendo un nuovo romanzo; l’incontro riaccende la vecchia fiamma e Fanny scopre, forse per la prima volta, l’attrazione per un mondo diverso, per l’esprit de finesse per l’amore vero che non è un trofeo da esibire; per la poesia di cui l’amore si alimenta, l’opposto non conciliabile della fredda razionalità del potere e della ricchezza di Jean, presto insospettito dal cambiamento improvviso di lei.
A lui, interessato ai fatti, convinto che la fortuna si costruisca, non importano i moti del cuore né le segrete emozioni.
Il secondo “coup de chance” che permetterà a Fanny la piena libertà di decidere di sé e di mantenere viva la memoria di Alain, nasce dalla sua fede nella poesia e nell’amore, e ancora una volta dal caso, padrone incontrastato del nostro destino.
Ricchissimo di citazioni, da Lubitsch a Malle a Wilder, e di autocitazioni (da Match Point, a Crimini e misfatti; da Irrational man a La ruota della fortuna), questo bel film appartiene alla serie dei film “noir” del vecchio regista, eterno detective dell’umana fragilità…
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