Regia di Giovanni Davide Maderna vedi scheda film
Una pantomima sul dolore, o forse sulla sua latitanza, in un’opera rimasta incompiuta per un eccesso di prudenza o di discrezione. Il film non vuole toccare l’indicibile tragedia, e quindi si limita a guardarla dietro a un vetro, dove anche i suoni giungono distorti, e le parole arrivano prive di ogni intonazione. Così ogni frase assume l’accento di una domanda rimasta in sospeso, di una pennellata tracciata nell’aria, di uno sbuffo che accende per un attimo l’orizzonte, e subito dopo svanisce. Questo distacco si riflette in una recitazione che, più che minimalista, sembra astensionista, riluttante a dare forma al ruolo, e che quindi rimane ferma sulla soglia, per dare, da lontano, vaghi cenni alla figura di un medico che non può curare, di un poliziotto che non sa indagare, di un padre ed un marito che non riesce ad amare. Regia e sceneggiatura non si pronunciano su una vicenda che si capisce a stento, in cui l’unico punto fermo è una preghiera recitata in una lingua straniera intorno ad un’assurda leggenda popolare. Concreta e reale, al centro della storia, è solo la follia di un destino crudele, che fa nascere un bambino apparentemente vivo e sano, però privo di corteccia cerebrale: di fronte a ciò tutto il resto si disperde in un fiacco mulinello di nonsenso, che precipita in una voragine di mancata volontà. Stante la delicatezza del tema, ben venga l’assenza di clamori ed isterismi, di retorica e di prese di posizione, però l’incertezza e l’inespressività non sono valide controproposte. Costruire un film intorno ad un evento, un fenomeno, un interrogativo, comporta l’impegno a presentarlo come parte di un tutto, perché è solo nel suo rapporto con il mondo circostante che si manifesta la sua problematicità. Circondarlo dal vuoto gli conferisce, invece, un alone di intangibilità che lo rende surreale, e quasi invita a trascurarlo come una rarissima eccezione. La deferenza religiosa con cui questo film tratta il suo soggetto fa così perdere forza a un dramma che, invece, di per sé, è tremendo, comune e vicino perché si può abbattere, da un momento all’altro, nella normalità di ciascuno di noi.
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