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Road House

Regia di Doug Liman vedi scheda film

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La recensione su Road House

di Gangs 87
4 stelle

 

Elwood Dalton, ex peso medio professionista delle arti marziali miste, che viene ingaggiato, dalla giovane proprietaria del Road House un locale di Florida Keys come buttafuori. Il locale, frequentato da spacciatori e ubriaconi molesti, è finito nelle mire di un capo della malavita locale, e Dalton resta l’ultima speranza di salvezza.

 

Remake del film del 1986 Il duro del Road House  diretto da Rowdy Herrington con protagonista Patrick Swayze, l’ultima pellicola diretta di Doug Liman (The Bourne Identity, Mr. & Mrs. Smith) vede nei panni del protagonista Jake Gyllenhaal, camicia hawaiana sbottonata sul petto muscoloso, poche parole, faccia da bravo ragazzo e una gran voglia di prendere a pugni la gente, a causa di quel suo trauma mai superato.

 

Come il più classico dei film d’azione infatti Road House, disponibile su Amazon Prime dal 21 marzo, sembra la trasposizione cinematografica di un famoso videogioco action-adventure, che (forse) tutti abbiamo giocato almeno una volta nella vita, in cui un uomo, con la smania di potere, che qui si trasforma in smania di denaro, si aggira per la città ripulendola dai cattivi, non accorgendosi di diventare cattivo egli stesso.

 

Doug Liman concentra l’attenzione sull’aspetto che possiede più fascino: l’azione. Considerando che la trama di base, il MacGuffin su cui si attacca la narrazione, quella scusa di difendere il locale dai cattivi di cui sopra, è piuttosto fragile, enfatizza ogni scena di combattimento e inseguimento rendendole l’unica parte attraente della pellicola.

 

La decisione di creare delle scene d’azione molto funzionali e coinvolgenti, va però a discapito della restante parte del racconto, zavorrata dalla loro consistente presenza. Nelle sequenze in cui la messa in scena si riduce ai dialoghi o alla semplice interazione tra i protagonisti, l’attenzione viene minata irrimediabilmente tanto che diventa sempre più difficoltoso ristabilire l’interesse man mano che il film avanza.

 

Anche la presenza di Jake Gyllenhaal sembra uno specchietto per le allodole. L’attore mette a disposizione del film solo la sua presenza scenica senza sfruttare minimamente la sua capacità recitativa, che qui dopotutto non sembra affatto necessaria. Certo è che anche solo sapere che ha preso parte al progetto finisce per attirare l’attenzione anche del cinefilo più diffidente che, a circa metà film, prontamente si chiederà come sia stato possibile riuscire a convincerlo.

 

Un film d’azione quasi in purezza a cui Liman prova ad aggiungere una trama più consistente tentando di arricchirla con personaggi, storie e situazioni che, ad un certo punto, gli sfuggono di mano e iniziano a restare sospesi nella narrazione senza più capo ne coda. Era davvero necessario inserirvi l’appendice emotiva? Dopotutto un film d’azione spesso funziona proprio perché non possiede altro che azione!

 

Resta il fatto che l’ambientazione, con il sole e il mare della Florida presenti in ogni inquadratura, e l’ottima colonna sonora curata da Christophe Beck meritano quantomeno un’occhiata.

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