Regia di James Hawes vedi scheda film
One life, una vita, quella di Nicholas e quella di centinaia di uomini e donne che hanno potuto viverla.
Le storie sulla Shoah sono da ottanta anni un fiume in piena, e ogni goccia di quel fiume lascia il segno, nulla sembra già detto, visto, raccontato, non c’è assuefazione al male, anche se dobbiamo definirlo banale dopo Hanna Arendt.
E’ vero, quei signori distinti e scialbi capaci di spedire con ingegneristica precisione milioni di persone in viaggio verso i lager su vagoni piombati sono esistiti, funzionari col braccio alzato prima ancora che Hitler passasse il confine.
E poi ci sono gli anonimi come Nicholas Winston, agente di borsa inglese, che ha dentro un imperativo morale, chiamiamolo così, e sente che deve andare, deve fare qualcosa.
Dopo l’invasione dei Sudeti e il vergognoso lasciapassare delle potenze europee concesso all’innominabile, radio Londra continuò a diffondere notizie vere, e una era la sorte delle masse di profughi fuggiti dai Sudeti a Praga ancora libera.
1938, ancora un po’ di respiro, chi sa leggere le notizie e la Storia sa che non ci sarà scampo per nessuno, per le strade quei profughi senza tetto, laceri, disperati, con bambini affamati, creavano un efficace contrasto con le vecchie glorie architettoniche della stupenda città. Poco mancava all’arrivo di Heidrich e le belle strade di Praga sarebbero state bonificate.
Nicholas non ha esitazioni, corre a Praga e, con un gruppo di volontari, imbarca 669 bambini, molti di origine ebraica, su otto treni diretti a Londra che riescono ancora a partire. Lì troveranno famiglie disposte ad accoglierli.
Il nono treno non partirà, era il primo settembre del 1939, e la svastica invase la Polonia.
I 250 bambini su quel treno finirono con gli altri 15.000 bambini cechi nei lager.
Una storia vera, recitano le didascalie, ma non c’era bisogno, sarebbe bello poter inventare storie su quel passato aberrante, ma è tutto vero, purtroppo.
Il film è una ricostruzione sobria, quasi austera, si svolge sui due piani del presente e del passato in efficace alternanza.
Nicholas da vecchio, che Hopkins interpreta non da attore consumato, che sarebbe normale, ma da uomo che vive in proprio quella tragedia, che piange dopo tanti anni su quei morti, che ha perso la vitalità temeraria di quegli anni ma non la passione di essere al mondo, decide di tirar fuori dal vecchio archivio quel grosso album pieno di foto e nomi dei bambini.
Non cerca gloria e medaglie, solo portare alla luce uno dei tanti momenti che si perdono nelle pieghe della Storia e nel tempo scompaiono, paesaggi nella nebbia.
Ma quelle sono state vite, speranze, innocenza, sorrisi di bambini venuti in un triste mondo, qualcuno li farà conoscere.
Ironia della Storia, sarà uno di quei programmi trash che cominciarono a diffondersi negli anni ’80 anche in Inghilterra, That’s life.
Il finale genera commozione, crediamo anche negli animi più induriti.
One life, una vita, quella di Nicholas e quella di centinaia di uomini e donne che hanno potuto viverla.
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