Regia di Artavazd Pelesjan vedi scheda film
E' una specie di documentario sulla cultura tradizionale e il modo di lavorare di qualche comunità rurale russa (non so di quale, perché le didascalie russe non sono tradotte). Non ha però il desiderio di mostrare e spiegare, come un normale documentario. Mira se mai a catturare lo spirito e l'atmosfera di quella vita dura di pastori, con le loro abitudini e le loro tradizioni secolari. Il regista, abbinando immagini e musica classica sacra, riesce a produrre indubbi effetti poetici. La poesia scaturisce in particolare quando fa uso del rallentatore, o quando inquadra ad esempio le nubi del cielo: si produce un effetto poetico indefinibile, quasi un sentimento di essenza delle cose e della realtà della natura.
Siamo molto lontani dai documentari celebrativi del lavoro socialista, con la retorica e l'ideologia che li contraddistinguono. Quelle, in fondo, sono rappresentazioni artificiose volte ad esaltare e propagandare i valori del comunismo e della rivoluzione. Qui, invece, si vuole arrivare ad una percezione lirica e poetica della realtà, a partire dall'animo di chi gira. Insomma siamo dalle parti di Tarkovskij, e non del realismo sovietico.
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